Modulo III Chimicamica             La bandiera dell'Unione Europea
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Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane delli angeli si manuca! e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo!


Dante - Convivio VII

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 








 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 








 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



“Io sono il pane di vita . . .
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gn 6,51)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Antonio de Curtis in arte Totò nella memorabile scena della tarantella dello spaghetto in "Miseria e Nobiltà" atto unico di Eduardo Scarpetta riscritto per il cinema da Mario Mattioli (1954).
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





" non vogliamo
più vini resinati
ma vini aminei "

(da un frammento di coppa ritrovato nei Vosgi francesi - sito aminea)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GLI AGRUMI
Gli agrumi fanno parte della famiglia delle Rutacee sotto famiglia delle Aurantioideae. La sotto famiglia delle Aurantioideae comprende tutte le varie specie di agrumi commerciali, quasi tutti del genere Citrus.
I principali agrumi coltivati rientrano tra questi gruppi:§Aranci
- Mandarini
- Pompelmi
- Agrumi acidi ( Limoni - Cedri - Bergamotti - Limette).Esistono agrumi che non appartengono al genere Citrus bensì al genere Fortunello (Il Kumquat comunemente chiamato mandarino giapponese) e al genere Poncirus di cui fa parte l'Arancio trifogliato, usato principalmente come portinnesto.

Varietà più comuni del genere Citrus:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Composizione chimica degli agrumi
Gli agrumi, in funzione della vasta gamma di componenti che li caratterizzano, hanno proprietà curative, dietetiche, cosmetiche; sono ricchi di vitamina C e di zuccheri ed altre vitamine (A,B1,B2,PP ecc.), anche se in minor quantità.
100 g. di succo di arancio o di mandarino contengono circa li 10% di zuccheri, l'1% di Acido citrico e 40 mg di vitamina C ( Acido ascorbico) e quindi sufficiente un bicchiere di succo per coprire il fabbisogno giornaliero.
Limone di Sorento IGP
Descrizione del prodottoL’indicazione geografica protetta “Limone di Sorrento” è riferita ai frutti della cultivar di limone “Massese”, conosciuta in letteratura anche come “Limone di Massa” e “Ovale di Sorrento”, prodotti esclusivamente nell’area della penisola sorrentina.E' un limone di dimensioni medio-grosse (peso di ogni frutto non inferiore a 85 grammi), di forma ellittica e con polpa di color giallo paglierino particolarmente succulenta e il cui succo è caratterizzato da elevata acidità e ricco di vitamina C e sali minerali. La buccia, di un bel color giallo citrino, è di medio spessore ed è molto profumata per la ricca presenza in oli essenziali. Queste peculiari caratteristiche qualitative fanno del “Limone di Sorrento” IGP un prodotto di eccellenza per la sua categoria, sia per il mercato dei limoni freschi che per la produzione del famoso “limoncello”, infuso di bucce di limone immerse in alcool purissimo, che proprio in quest’area di origine ha trovato la sua consacrazione internazionale.

§Le caratteristiche di qualità del “Limone di Sorrento” IGP sono esaltate dalle particolari tecniche di produzione, ancora legate alla coltivazione delle piante sotto le famose “pagliarelle”, stuoie di paglia che vengono appoggiate a pali di sostegno di legno, solitamente di castagno, a copertura delle chiome degli alberi, al fine di proteggerli soprattutto dal freddo e dal vento e per conseguire anche un ritardo della maturazione dei frutti, che rappresenta uno dei principali elementi di tipicità di questa produzione.
In cucina, il “Limone di Sorrento” IGP è consumato in tantissime varianti: al naturale, oppure per preparare spremute e succhi o aromatizzare dolci, marmellate e bevande. Nei ristoranti ed alberghi dell’area di produzione, che comprende anche Capri, i migliori cuochi si sono inventate ricette d’autore in cui il limone sorrentino è una costante in tutte le pietanze, dall’antipasto al dolce, fino al caffè. E’ ingrediente obbligato in tutti i primi piatti di “mare” e ovviamente accanto al pesce, che in quest’area è il principale attrattore gastronomico per i turisti.
Enorme successo tra i frequentatori della penisola sorrentina hanno inoltre ricevuto alcune preparazioni dolciarie a base di limone, come i “babà al limoncello”, le “delizie al limone” e il “sorbetto al limone”.
Il “Limone di Sorrento” IGP viene coltivato in tutti i comuni della Penisola Sorrentina e precisamente: Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Vico Equense, oltre che nell'isola di Capri, con i due comuni Capri ed Anacapri. .
Il nome della varietà Sfusato Amalfitano, che dà luogo alla Indicazione Geografica Protetta “Limone Costa d’Amalfi”, racchiude due caratteristiche importanti: la forma affusolata del frutto, da cui il termine “sfusato”, e la zona in cui si è venuto, col tempo, a differenziare: la Costiera Amalfitana.
Il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è un prodotto dalle caratteristiche molto pregiate e rinomate: la buccia è di medio spessore, di colore giallo particolarmente chiaro, con un aroma e un profumo intensi grazie alla ricchezza di oli essenziali e terpeni (carattere ritenuto di pregio per la produzione del liquore di limoni). La polpa è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi. E’ inoltre un limone di dimensioni medio-grosse (almeno 100 grammi per frutto).
Da studi recenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico II si è venuti a conoscenza che questa varietà di limone è tra le più ricche in assoluto in acido ascorbico, la nota vitamina C.
Il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è considerato, commercialmente, un prodotto di eccellenza, sia per il mercato del fresco che per la produzione del celebre “limoncello”, che qui come a Sorrento e a Capri ha trovato la sua area di elezione.
La coltivazione tipica a terrazzamenti, lungo i versanti acclivi della Costiera, con la copertura delle piante attraverso le famosissime “pagliarelle” (oggi sostituite dalle più pratiche reti ombreggianti), contribuisce a conferire quelle caratteristiche uniche e di pregio al “Limone Costa d’Amalfi” IGP e a rendere famosi nel mondo i suoi mitici “giardini”.
La raccolta avviene più volte l'anno, per il fenomeno tipico nei limoni del polimorfismo, anche se la produzione di maggior pregio si ottiene nel periodo primaverile-estivo, compreso tra marzo e fine luglio.
Per il suo profumo intenso, la buccia spessa, la polpa succosa e semidolce e la quasi assenza di semi, il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è largamente usato in cucina. Nell’area di produzione è spesso servito al naturale, preparato all’insalata. Altro impiego tipico del limone nella zona amalfitana è quello condimentario. Nel pesce, negli antipasti di mare, nei celebri primi piatti della zona, sulle carni, il limone, intero, a fette, o anche solo come ingrediente, è sempre presente accanto alle principali pietanze. I migliori chef della zona ne hanno fatto l’attrattore gastronomico per eccellenza. Alcuni bar della zona servono finanche il “caffè al limone”.
Del limoncello, infuso di bucce di limone immerse in alcool purissimo, si è detto. Ma l’impiego dello Sfusato amalfitano non si limita alla produzione del celebre liquore di limoni, ma si estende anche al settore dolciario, in quanto l'aroma inconfondibile di questo prezioso frutto è alla base di tante specialità del posto, come le mitiche “Delizie”, i “babà al limoncello”, le torte, i profitteroles, i cioccolatini ed altri dolciumi tipici locali.
Area di produzione Il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è presente in tutti i comuni della Costiera Amalfitana, e precisamente: Amalfi, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare.
Si caratterizza per gli apporti in proteine di elevata qualita' biologica:
§- lattalbumina, caseina e in calcio.
 

Il latte non e' una fonte importante di vitamine, anche se contiene discrete quantita' di vitamine B2, B12 e A.

Il calcio e' un nutriente essenziale che deve essere assunto giornalmente con gli alimenti.
Il fosforo e' un altro importante minerale presente nel latte

Le proteine del latte, rappresentate dall' 80% da caseina e dal 20% dalla lattalbumina, assicurano un terzo del fabbisogno giornaliero medio.
Queste proteine contengono nelle giuste quantita' e proporzioni tutti gli aminoacidi di cui l'organismo ha bisogno, ed in particolare quegli aminoacidi essenziali che l'organismo non e' in grado di fabbricare.
I grassi presenti nel latte di mucca sono per due terzi saturi, caratterizzati da buona digeribilita' e con ridotte attitudini ad elevare i livelli di colesterolo nel sangue.
Nel latte i carboidrati sono rappresentati unicamente dal lattosio che non si trova in nessun altro alimento ed e' importante per lo sviluppo del tessuto nervoso nei primi mesi di vita

Caratteristiche chimiche di alcuni tipi di latte
Latte e formaggi

Il formaggio è il prodotto ricavato dalla coagulazione delle caseine presenti nel latte (cagliata).
È frutto di una delle più antiche tecnologie alimentari che permette la conservazione di un prodotto altamente deperibile come il latte.
Una serie di pratiche a cui viene sottoposto (es.: salatura e stagionatura), rende il prodotto stabile nel tempo.

CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI
ORIGINE DEL LATTE
VACCINI
PECORINI
CAPRINI
BUFALINI

CONSISTENZA DELLA PASTA

PASTA MOLLE (dal 40 % al 70% di acqua)
PASTA DURA (meno del 40% di acqua)
TENORE IN GRASSI

"MAGRI" (meno del 20%)
"LEGGERI" (tra il 20% ed il 35%)
Non è riportarta alcuna indicazione per i formaggi generici con tenori superiori al 35%

TEMPO DI MATURAZIONE

FRESCHISSIMI (48 - 72 ore)
FRESCHI (15 giorni)
SEMISTAGIONATI (da 40 giorni a 6 mesi)
STAGIONATI (da 6 mesi ad un anno)
MOLTO STAGIONATI (oltre un anno)

COTTURA DELLA CAGLIATA
FORMAGGI CRUDI (temperatura ambiente)
FORMAGGI SEMICOTTI (temperatura compresa tra 38 e 40 C)
FORMAGGI COTTI (temperatura compresa tra 58 e 60 C)

TECNOLOGIE PARTICOLARI
A PASTA FILATA (cagliata modellata in acqua bollente)
FUSI (formaggi di diverse qualità fusi insieme a prodotti lattieri, sali, spezie ed aromi)
MASCARPONE (coagulazione della crema di latte)
COMPOSIZIONE DEI FORMAGGI (g. per 100 di parte edibile)

TECNOLOGIA DELLA CASEIFICAZIONE
FORMAGGI FUSI
I formaggini, le fette per toast, i preparati per pizza etc. che riportano la dizione "Formaggio Fuso", si ottengono mescolando formaggi di diversa natura, componenti del latte, additivi fondenti ed emulsionanti (citrati, fosfati di sodio, polifosfati).
Questi formaggi hanno un elevato contenuto in acqua (per la presenza di emulsionanti), e, contenendo spesso polifosfati, determinano una riduzione del calcio alimentare assimilabile.

COSA È UN FORMAGGIO A DENOMINAZIONE D'ORIGINE
Vengono riconosciute come "denominazioni di origine" le denominazioni relative ai formaggi prodotti in zone geografiche delimitate osservando usi locali e costanti e le cui caratteristiche merceologiche derivano prevalentemente dalle condizioni proprie dell'ambiente di produzione.

FORME E FORMAGGI
Molti formaggi di pregio (caciocavallo, provolone, ecc.) sono diventati così familiari ai consumatori che spesso vengono riconosciuti "a vista", in base alla loro forma tradizionale (spesso non tutelata). Occorre invece diffidare delle imitazioni, sempre più frequenti, non limitandosi più all'apparenza, che può ingannare, ma leggendo attentamente l'etichetta o assicurandosi della presenza dei marchi dei Consorzi di Tutela. Dietro l'aspetto di un "provolone" può celarsi un "formaggio fuso", e ... come l'abito non fa il monaco, l'apparenza non fa la qualità!

LE FRODI PIÙ FREQUENTI
Formaggi ottenuti con latte in polvere ricostituito (consentito in altri paesi)
Formaggi pecorini contenenti percentuali più o meno elevate di latte vaccino
Mozzarella di bufala contenenti percentuali più o meno elevate di latte vaccino
Attribuzione della designazione di formaggio doc a formaggi comuni
Vendita di formaggi di provenienza diversa, e magari estera, come "formaggi tipici o a Denominazione di origine"

COME VIENE FATTA LA MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA
Il Filtraggio del latte di bufala
Il latte utilizzato per essere trasformato in mozzarella, proveniente da allevamenti bufalini attentamente selezionati, deve essere consegnato al caseificio entro 12 ore dalla mungitura ed immagazzinato in recipienti che non ne modificano le caratteristiche organolettiche.

Prima di lavorarlo, il latte viene filtrato affinchè vengano a scomparire tutte le impurità.

Coagulazione del latte di bufala
La coagulazione del latte di bufala viene preceduta dall'addizione di sieroinnesto naturale, ottenuto lasciando acidificare spontaneamente a temperatura ambiente il siero della lavorazione del giorno precedente.
La coagulazione viene effettuata mediante aggiunta al latte di caglio liquido di vitello (generalmente di titolo 1:10000).
Il riscaldamento del latte avviene per immissione diretta di vapore (nell'antica pratica, mediante aggiunta di una quota di latte bollente alla massa complessiva) che viene quindi addizionato del caglio (18-20 ml /qle di latte). Il campo di temperatura ottimale è fra 34°C e 38°C e la durata media della coagulazione non supera in alcun caso mezz'ora.
Rottura e Maturazione della cagliata
La rottura della cagliata viene effettuata di solito manualmente con un 'ruotolo' di legno (bastone alla cui estremità è fissato un disco di legno con la faccia esterna convessa) o con uno spino metallico e viene spinta fino ad ottenere grumi caseosi delle dimensioni di 3-6 cm.

Vengono eseguite due fasi: la prima rottura riduce la cagliata in cubi e, dopo una sosta di circa mezz'ora, si procede con la seconda rottura con ruotolo o spino.
L'estrazione della cagliata avviene di solito manualmente.
Essa poi viene tagliata in grosse fette con l'ausilio di un coltello o del tradizionale falcetto.

La cagliata, che si presenta compatta e con occhiature regolari, viene quindi posta a spurgare su di un tavolo spersoio ed a maturare ulteriormente per tempi variabili tra i 15 ed i 30 miniti

Dopo la rottura, la cagliata viene lasciata ad acidificare prima sotto siero. Nel ciclo di lavorazione artigianale l'acidificazione dura mediamente 3-4 ore, tuttavia, non sono rare le lavorazioni in cui questa fase tecnologica si protrae anche fino a 8 ore.
La durata dell'acidificazione della cagliata sotto siero è una delle variabili di processo che più influiscono sulla qualità della Mozzarella.

Come si stabilisce quando bloccare la maturazione della pasta e quindi procedere alla filatura? Il giusto grado di maturazione della cagliata si determina tramite il saggio empirico di filatura. Si opera in questo modo: circa 100g di pasta maturata vengono fusi in acqua calda, la pasta fusa viene posta su un bastoncino e tirata con le mani; se la pasta si allunga in filamenti continui di lunghezza superiore a un metro, senza spezzarsi, si può considerare pronta per la filatura.
 

 

L’OLIO D’OLIVA
L'olio di oliva è un componente fondamentale e tipico della dieta mediterranea. Il termine "olio di oliva" comunemente è usato in maniera generica per definire tutti gli oli derivanti della lavorazione delle olive; in realtà questo termine racchiude una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche.

DALLE OLIVE ALL'OLIO
IN COMMERCIO SI TROVANO QUESTE TIPOLOGIE DI PRODOTTI
OLIO EXTRAVERGINE: di gusto "assolutamente" perfetto con acidità inferiore al 1% è ottenuto da una lavorazione effettuata con l'esclusivo utilizzo di mezzi fisici (frangitura - spremitura - separazione)
OLIO VERGINE:di gusto perfetto con acidità inferiore al 2% è ottenuto come l'extravergine con mezzi fisici.
OLIO DI OLIVA: ottenuto miscelando oli di oliva raffinati e oli vergini, deve avere un acidità inferiore allo 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare
OLIO DI SANSA DI OLIVA: ottenuto miscelando olio di sansa raffinato con oli vergini, con acidità inferiore al 1,5%; non è previsto un minimo di vergini da addizionare

COMPOSIZIONE CHIMICA
L'olio di oliva è per la quasi totalità composto da trigliceridi (98 - 99%), gli acidi grassi più rappresentati sono l'oleico (65 - 80%) il linoleico (<13%) ed il palmitico (7 - 15%).
Ricco in giusta misura di acidi grassi insaturi, così come richiesto dalla moderna dietologia, contiene tra i costituenti minori, ma non per questo meno importanti, oltre al beta-carotene (provitamina A) ed i tocoferoli (vitamina E), tutta una serie di sostanze antiossidanti (composti fenolici, ecc.) importantissime sia per la conservazione dell'olio, sia dal punto di vista nutrizionale ed antinvecchiamento (antagonisti dei radicali liberi).
Importanti sono altresì i fitosteroli per la loro azione regolatrice sull'assorbimento del colesterolo.

L' "olio extravergine di oliva", per le sue doti peculiari e per la sua bassa acidità, è il miglior tipo di condimento da usarsi a crudo.
L' "olio di oliva" e l' "olio di sansa di oliva", essendo miscele di oli raffinati e oli vergini, presentano alcuni componenti tipici degli oli vergini in percentuali inferiori.

COSA È UN OLIO EXTRAVERGINE A DENOMINAZIONE D'ORIGINE
Vengono riconosciute come "denominazioni di origine" le denominazioni relative agli oli extravergini di oliva prodotti in zone geografiche delimitate e le cui caratteristiche merceologiche derivano prevalentemente dalle condizioni proprie dell'ambiente di produzione e dalle varietà di olive impiegate.

L'OLIO D'OLIVA IN CUCINA...
Gli oli di oliva vanno preferibilmente usati a crudo, ma si comportano ottimamente anche nelle cotture a fuoco moderato e per friggere. L'olio extravergine di oliva è l'unico olio ottenuto integralmente dalla sola spremitura del frutto; ogni regione d' Italia ha i suoi extravergini, con precise caratteristiche di aroma e sapore: con il riconoscimento degli oli extravergini a Denominazione di Origine, il consumatore ha la possibilità di scegliere il prodotto che più soddisfa i suoi gusti e le sue esigenze. Tutti gli oli (compresi quelli di semi) sottoposti a trattamenti termici energici (cottura o frittura) si alterano, con perdita di valore nutritivo e formazione di composti tossici (acroleina). Gli oli di oliva, per il basso contenuto in acidi grassi polinsaturi, sono tra i più adatti per le fritture.

Alcune raccomandazioni per friggere:
utilizzare oli idonei, più resistenti al calore;
aggiungere sale e spezie agli alimenti dopo la frittura, e non durante, in quanto accelerano l'alterazione degli oli
asciugare bene gli alimenti da friggere
evitare temperature oltre i 180° C, utilizzando friggitrici con termostato
controllare lo stato dell'olio durante la frittura; le alterazioni sono evidenziate da imbrunimento, aumento della viscosità, formazione di schiuma abbondante e produzione di fumo
evitare tassativamente la pratica della ricolmatura (aggiunta all'olio usato di olio fresco, che si altera molto più rapidamente)

LE FRODI PIÙ FREQUENTI
L'olio d'oliva è sempre stato soggetto a frodi e sofisticazioni per l'alto costo di produzione rispetto a tutti gli altri oli.
In particolare le frodi più comini sono:
Olio extravergine che contiene oli raffinati, sia di oliva che di semi
Oli con tenori analitici non rispondenti ai requisiti previsti dai regolamenti comunitari
Oli di semi variamente coloratiche possono venire spacciati per oli di oliva

È bene diffidare di venditori occasionali privi di licenza che non rilasciano documenti di vendita.
IL PANE
La farina
La farina è il prodotto della macinazione del frumento (grano tenero -Triticum vulgare)
Per essere adatta alla panificazione, necessita di un periodo di maturazione (stagionatura), in un ambiente asciutto e sufficientemente aerato (da qualche settimana a due mesi e più), durante il quale i suoi componenti subiscono delle modificazioni che rendono possibile la successiva lievitazione.
Gli enzimi contenuti nelle cellule del chicco di grano (in maggioranza diastasi) operano la trasformazione di parte dell'amido in zuccheri, quegli stessi che serviranno più tardi, durante la lievitazione, per essere trasformati in alcool e anidride carbonica. Le proteine vengono attaccate dalle proteasi, enzimi che ne semplificano la struttura, rendendole più facilmente utilizzabili dai lieviti. Le trasformazioni diastatiche della farina sono tanto più rapide quanto più essa è ricca di enzimi e umidità.

Anche la temperatura dell'ambiente di stoccaggio ha la sua importanza, dovrebbe aggirarsi sul 15° C e con umidità dell'aria intorno al 70%.

Le fasi della lavorazione
PANIFICAZIONE
IMPASTO
FERMENTAZIONE PANARIA E LIEVITAZIONE
PROCESSO DI COTTURA

PANIFICAZIONE
Il pane si ottiene per lievitazione e cottura di un impasto di farina, acqua, lievito ed eventualmente sale.

Impasto
L'impastamento è la prima fase del processo di panificazione e ha lo scopo di miscelare in modo omogeneo gli ingredienti, idratare le sostanze solubili, formare il glutine e incorporare aria, ottenendo infine un composto elastico, omogeneo e non appicicaticcio.

L'energia viene fornita o per impastamento manuale o mediante l'impiego di impastatrici meccaniche. Durante l'impastamento l'acqua viene assorbita da parte della farina, soprattutto dalle proteine. Il volume del pane è legato principalmente al contenuto proteico delle farine, che, nella fase di impasto, portano alla formazione del glutine, la cui molecola dà tenacità ed elasticità. Da queste caratteristiche dipende la capacità dell'impasto di lievitare e di trattenere l'anidride carbonica.

FERMENTAZIONE PANARIA E LIEVITAZIONE
Nella fase di lievitazione si determinano le proprietà organolettiche del pane: dall'aroma alla fragranza della crosta. Questo processo dipende soprattutto dall'azione di alcuni lieviti, che hanno lo scopo di provocare la fermentazione panaria - favorendo, in tal modo, lo sviluppo di anidride carbonica, che fa rigonfiare la pasta, rendendola spugnosa e, quindi, più idonea alla cottura -, nonché di produrre un insieme di composti chimici che insaporiscono il pane.

La temperatura ideale per la lievitazione degli impasti è di 30-36° C. Si ha così un pane leggero, assai digeribile.

I lieviti più comunemente usati in panificazione sono due: il lievito naturale o lievito di pasta acida e il lievito compresso.

Il primo si ottiene impastando, a una temperatura di 20-30°, farina con acqua, e rinnovando, poi, per tre giorni, tale impasto, con altrettanta acqua e farina, dopo il riposo di una giornata.

Questa pasta lievitata si chiama anche lievito capo: è ricca di microrganismi capaci di riprodursi abbondantemente e rapidamente in una nuova pasta, facendola entrare in fermentazione.

Il lievito compresso - impropriamente chiamato lievito di birra, perché un tempo si usava allo stesso scopo il lievito che si deposita sul fondo dei tini di fermentazione dei mosti di birra.

Appena immesso il lievito nella pasta, inizia la fermentazione panaria.

Questa fermentazione è prodotta dall'azione di alcuni enzimi presenti nelle cellule del lievito; per effetto di tale azione, gli zuccheri delle farine, provenienti dalla trasformazione dell'amido e che, nel frattempo, si sono sciolti nell'acqua dell'impasto, penetrando nelle cellule del lievito, si trasformano in alcool e anidride carbonica formando gli alveoli, che determinano la spugnosità caratteristica dell'impasto lievitato e del pane cotto, mentre l'alcool contribuisce a dare al pane il suo sapore.

Quando l'impasto ha raggiunto l'optimum di fermentazione, si procede alla sua divisione nelle pezzature volute, che vengono subito foggiate nella forma desiderata.

PROCESSO DI COTTURA
In forno il pane è sottoposto ad una temperatura di 200-300° C, la quale non si propaga, però, al di là dei suoi strati superficiali. In questi strati, dapprima una parte dell'amido si trasforma in destrina (sostanza giallognola, di sapore dolciastro, che si ottiene dagli amidi per mezzo di acidi diluiti); man mano che essi assumono la temperatura del forno, le destrine si caramellano e una parte del rimanente amido comincia a torrefarsi.

Si forma così una crosta più o meno spessa e di colore più o meno scuro. Nell'interno del pane la temperatura si mantiene sempre relativamente bassa (100° circa). Un buon pane deve essere poroso, leggero, di odore gradevole; deve avere la crosta sottile nella parte superiore, e più grossa e sonora alla base. La superficie deve essere di colore vivo e dorato, la mollica soffice ed elastica.

Le forme di pane prodotte nel vicentino
PASTA DURA cioppa (tipica vicentina a sei corni), mantovana, foglie, biove, piave, becchi, banana, tagliuzzata
PASTA NORMALE banane, mantovane, montasù, kiffer, maggiolino, filoncino a mandorla, rosetta, spaccatina kaiser, casarecci, cioppetta tipo padovano, trecce, toscano (normale - in cassetta affettato), pugliese
PASTA MOLLE zoccoletti, ciabatte, soffiate, filoncini, grissini stirati
PANE A CROSTA FINE (all'olio, allo strutto, al burro, alle olive, a tre e cinque cereali, ecc.)
PANI "SPECIALI" banane, mantovane, groppetti, bovoli, manine, trecce, becchi, filoni, filoncini, filoncino a mandorla, rissette, rissette doppie, kiffer, bauletti, ciondoli, pinse, carciofini, ferraresi (ragni), cinesine, carrè, barchette, esse, spianate sarde, carta da musica, grissini

LA PASTA
La pasta è un prodotto alimentare di origine molto antica, che alcuni studiosi farebbero risalire alla civiltà cinese ed introdotta in Italia da Marco Polo al suo rientro a Venezia.
Oggi la pasta rappresenta sicuramente una caratteristica produzione italiana, nota ormai in tutto il mondo; tale fama è giustificata non solo dalla eccellente qualità del prodotto nazionale, frutto dell'esperienza dei nostri "maestri pastai", ma anche dalla fantasia e dalla genialità del nostro popolo, che, con amore e gusto, ha dato forma all'alimento, accostandolo ai più svariati condimenti e creando ricette apprezzate da tutti i consumatori (trenette al pesto genovese, spaghetti all'amatriciana, orecchiette alla pugliese, ecc.).

CLASSIFICAZIONE DELLE PASTE ALIMENTARI
PASTA DI SEMOLA (O DI SEMOLATO) DI GRANO DURO: è la comune pasta secca; in base alla normativa italiana può essere ottenuta dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati esclusivamente con semole (o semolati) di grano duro ed acqua.
La semola è il prodotto granulare, a spigoli vivi, ottenuto dalla macinazione e successiva setacciatura del grano duro, depurato da impurità e sostanze estranee; dallo stesso processo, dopo l'estrazione delle semole, si ottiene il semolato. In altri Paesi è consentito l'impiego di grano tenero: anche per questo motivo la pasta italiana è da considerarsi di maggior pregio.

PASTE SPECIALI: prodotte esclusivamente con semole e contenenti ulteriori ingredienti alimentari consentiti, quali verdure (spinaci, pomodoro), malto o glutine, ripieni vari (ortaggi, carni, formaggi, uova, pesce, funghi); devono essere poste in commercio con la denominazione "pasta di semola di grano duro", seguita dalla specificazione degli ingredienti aggiunti .

CLASSIFICAZIONE DELLE PASTE ALIMENTARI
PASTA ALL'UOVO: prodotte esclusivamente con semole e con l'aggiunta di almeno 4 uova intere di gallina, prive di guscio, per un peso complessivo non inferiore a 200 grammi per ogni kg di semola; è possibile utilizzare uova fresche o ovoprodotti; devono essere poste in commercio con la sola denominazione di "pasta all'uovo".
PASTE DIETETICHE: preparate con le stesse materie di base delle comuni paste, in parte sostituite con altri prodotti alimentari, spesso arricchite con vitamine e sali minerali; sono paste a ridotto contenuto o glucidico o proteico o calorico o in sodio, destinate a particolari soggetti (diabetici, intolleranti al glutine, malati di cuore).

PASTE FRESCHE: possono avere una umidità fino al 30% (anziché del 12,5%) e per esse è consentito l'uso di farina di grano tenero e di altri ingredienti (verdure e ripieni vari, come per le paste speciali secche); la pasta fresca all'uovo deve essere prodotta esclusivamente con uova fresche.

CARATTERISTICHE MERCEOLOGICHE
La pasta secca di buona qualità deve avere :
un colore giallo ambrato,
spezzarsi con un suono secco mostrando una sezione non farinosa;
osservata contro luce deve presentare colore omogeneo (assenza di punti neri, di punti bianchi, di bolle d'aria, di incrinature).
La pasta deve avere odore e sapore gradevoli, e non estranei (acidità, muffa, ecc..,);
deve "tenere" la cottura, rimanendo consistente ed elastica (se il glutine è di buona qualità produce una rete attorno all'amido che altrimenti esce dalla pasta determinandone un aspetto colloso);
deve assorbire acqua, aumentando di peso e di volume fino a due o tre volte, limitando le perdite nell'acqua di cottura.
VALORE NUTRIZIONALE
alto valore energetico, data l'elevata presenza di amido;

buon contenuto in proteine;

facile digeribilità e scarsità di scorie;

basso contenuto in grassi e vitamine;

eccesso di potassio, tra i sali minerali;

limitato contenuto di amminoacidi essenziali (lisina).

I condimenti aggiunti integrano perfettamente le carenze del piatto di pasta base:
l'aggiunta di condimenti (quali olio, burro, ecc.), copre la carenza di grassi;
quella di formaggio porta gli amminoacidi essenziali ed il calcio carenti nella farina;
il pomodoro o le verdure della salsa portano vitamine, specialmente se aggiunti crudi o appena sbollentati;
ideale è l'abbinamento con le leguminose (pasta e ceci, pasta e fagioli, ecc.) in quanto queste apportano proprio gli amminoacidi essenziali e le vitamine mancanti nel frumento.

Un miglioramento intrinseco si ha nelle paste all'uovo: si innalza il valore biologico delle proteine, aumenta il contenuto di calcio, ferro e fosforo, si incrementano i lipidi, il contenuto in vitamina B1 ed in vitamina A.

Contrariamente a quanto spesso ritenuto, la pasta cotta "al dente" , cioè consistente in superficie ed all'interno, venendo masticata più a lungo risulta digerita più facilmente.

DISTINGUIAMO LA VERA PASTA
Esistono in commercio prodotti che, nell'aspetto sono del tutto simili alle normali paste (spaghetti, tagliatelle, rigatoni, ecc.) ma vengono denominati in etichetta come "preparati alimentari" o "specialità gastronomiche"), senza riportare la menzione "Pasta".

Si tratta di prodotti differenti dalla pasta, e pertanto non soggetti ai rigorosi requisiti qualitativi imposti dalla normativa per la produzione di questo alimento; perciò ... occhio all'etichetta!!!
LE FASI DI LAVORAZIONE
MISCELAZIONE

IMPASTO

GRAMOLATURA

TRAFILATURA

ESSICCAMENTO

RAFFREDDAMENTO
E STOCCAGGIO

CONFEZIONAMENTO

Il grano viene selezionato per la macinazione in base alle sue caratteristiche igieniche, chimiche e fisiche.
Quindi viene portato al mulino per essere dapprima setacciato, ripulito dalle impurità del raccolto, poi macinato per ottenere semole delle migliori qualità.
Per la produzione di pasta viene utilizzato esclusivamente il grano duro, mentre il grano tenero e quindi la farina da esso ottenuta, viene destinata ai panifici ed all'industria dolciaria.

MISCELAZIONE
Si miscelano diversi tipi di semole.

La semola di grano duro viene impastata con acqua purissima.

In questo modo l'amido e le proteine si legano all'acqua ed inizia a formarsi il glutine, una rete proteica che lega i granuli d'amido idratati.

IMPASTO
Si impastano le semole con acqua calda (25-30 % a 80°C);

L'impasto assume così il suo aspetto caratteristico.

La pasta quindi è un alimento ottenuto esclusivamente dalla lavorazione di semola di grano duro ed acqua, non contiene sale e la legge italiana vieta l'aggiunta di conservanti e coloranti.

GRAMOLATURA
Quest’operazione ha lo scopo di dare all'impasto la caratteristica consistenza elastica, dovuta alla combinazione dell'acqua con la frazione proteica (glutine)

TRAFILATURA
L'impasto viene spinto attraverso tubi a sezione particolare (trafile), assumendo il formato voluto; i fori di uscita possono essere in bronzo (conferiscono alla superficie della pasta maggiore porosità, rendendola più ruvida e opaca, migliorandone l'assorbimento dei condimenti e la tenuta in cottura) o in materiale plastico (teflon, il prodotto finale assume una superficie liscia ed un colore più brillante)

ESSICCAMENTO
l‘essicamento viene distinto in due fasi:

l'incartamento, durante il quale il prodotto perde velocemente circa 1/3 dell'acqua, con la formazione di una sottile pellicola sulla superficie della pasta, una sorta di "buccia" che conferisce rigidità al prodotto;

l'essiccamento vero e proprio, durante il quale, alternando cicli di ventilazione con aria calda a cicli di rinvenimento, in cui si lascia riposare il prodotto in umidità più elevata, l'acqua degli strati più interni affluisce verso l'esterno evaporando; tempi e temperature sono variabili, in funzione del tipo di impianto e del formato della pasta: da 60°C per 17 ore , a 70°C per 12 ore, fino alle temperature alte (HT) e altissime (UHT) per tempi variabili da 6-9 ore, per la pasta corta, a 8-12 ore , per quelle lunghe;

RAFFREDDAMENTO E STOCCAGGIO
Si realizza in ambienti a temperatura ed umidità controllate

L'elemento finale dell'essiccatoio è il raffreddatore che provvede a portare a temperatura ambiente la pasta ancora a temperatura d'essiccatoio.

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CONFEZIONAMENTO
A questo punto non resta che la fase di confezionamento, negli astucci di cartone o nei sacchetti trasparenti, che hanno la funzione sia di proteggere il prodotto da contaminazioni che possono essere causate da agenti esterni che di presentare il prodotto in modo tale da fornire un'adeguata informazione all'acquirente/consumatore

LE FRODI PIU' FREQUENTI Uso di farine di grano tenero: è la frode più comune e compromette le qualità organolettiche della pasta, senza comportare implicazioni di carattere igienico-sanitario

Impiego di altri cereali: tale frode può comportare un decadimento qualitativo, riducendo il costo di produzione

Uso di semole di qualità scadente o avariate

Aggiunta di coloranti o di additivi chimici per imitare le paste speciali o le paste all'uovo o per mascherare il tipo di sfarinato usato


IL VINO
Presso tutte le popolazioni, dalle primitive alle più evolute, si osserva l'uso di consumare bevande alcoliche ottenute dalla fermentazione di liquidi zuccherini (succhi vegetali, miele, latte).

Il vino, ottenuto dalla fermentazione del succo d'uva, è probabilmente la più antica tra queste bevande e la più ricca di tradizioni, ricordata nella Bibbia e in numerosi documenti delle civiltà asiatiche più remote.

CLASSIFICAZIONE DEI VINI
Per la commercializzazione si distinguono:

VINI A DENOMINAZIONE D'ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA (D.O.C.G.);

CONTROLLATA (D.O.C.);

VINI AD INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA (I.G.T.);

VINI DA TAVOLA;

vini speciali, quali: VINI LIQUOROSI, VINI SPUMANTI, VINI FRIZZANTI E VINI AROMATIZZATI.

DOCG e DOC sono vini di qualità ottenuti da uve provenienti da zone particolarmente vocate e rispettando le disposizioni di specifici "Disciplinari di Produzione", che stabiliscono il nome, la tecnica colturale, gli uvaggi, le rese massime ottenibili (in uva ad ettaro; in vino dall'uva), la zona di vinificazione e le loro caratteristiche.

Tutti i vini a DOCG e a DOC presentano disciplinari particolarmente rigidi, sono sottoposti ad esame chimico - fisico ed organolettico da parte di una Commissione di Degustazione ed ad altri controlli, necessari a garantirne la costante tipicità e la elevata qualità.

I vini ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) devono essere ottenuti, per almeno l'85%, da uve raccolte nella zona geografica di cui portano il nome.

Il vino ha reso l'Italia famosa nel mondo per l'alto livello qualitativo raggiunto da alcune produzioni nazionali.

Gli uffici dell'Ispettorato Centrale Repressione Frodi dispongono di laboratori d'analisi particolarmente attrezzati per il riscontro della genuinità e della qualità del vino. A tal fine l'ICRF utilizza anche strumentazione d'avanguardia (spettrometri NMR) per applicare la tecnica analitica della risonanza magnetica nucleare, con la quale da anni vengono testate tutte le produzioni vinicole nazionali per tutelare i consumatori ed i produttori dall'illegale aggiunta di zuccheri di varia origine nel vino.

UN PO' DI CHIAREZZA NEI TERMINI
In alcuni vini a DOCG, a DOC e a IGT il nome della zona di produzione si accompagna a quella di 1 o 2 Varietà di vite (es. trebbiano, pinot, sangiovese)

I vini novelli vengono elaborati mediante la procedura della "macerazione carbonica" dell'uva intera, che permette di ottenere un vino con aromi e profumi particolari, e tale da renderlo adatto al consumo subito dopo la vendemmia (e comunque non prima del 6 novembre); per apprezzare il pregio di questo vino il consumo deve essere effettuato entro pochissimi mesi

Invecchiamento: non tutti i vini, come gli uomini, invecchiano bene: soprattutto i vini rossi possono migliorare; sono a rischio i vini bianchi, i vini passiti, più o meno zuccherini, sono ottenuti da uve opportunamente fatte appassire

I vini liquorosi sono prodotti aventi una gradazione compresa tra 15 e 22 gradi alcolici

I vini possono conservare più o meno gli zuccheri dell'uva, distinguendosi in dolci - amabili - abboccati o demi-sec; se invece la fermentazione è stata totale si avranno i vini denominati asciutti o secchi o dry; analogamente, gli spumanti vengono classificati in dolci - demi-sec o abboccati - secchi - extra-dry - brut - extra-brut-dosaggio zero

I vini spumanti ed i vini frizzanti sono prodotti caratterizzati dalla formazione di una caratteristica spuma (bollicine) derivata da anidride carbonica ottenuta da fermentazione naturale o da aggiunta (in questo caso in etichetta è presente la dicitura "gassificato").

Negli spumanti naturali la fermentazione avviene in bottiglia (metodo Classico) o in autoclave (metodo Charmat)

I vini frizzanti hanno una sovrapressione inferiore rispetto agli spumanti.
LE FRODI PIÙ FREQUENTI

Vini ottenuti dalla fermentazione di zuccheri di natura diversa da quelli dell'uva (pratica vietata in Italia, ma consentita in altri Paesi)

Aggiunta di sostanze non consentite: alcool, antifermentativi, aromatizzanti, coloranti

Messa in commercio di vini di qualità differente da quella dichiarata in etichetta

Messa in commercio di vini non conformi alle norme (acescenti, con contenuto di anidride solforosa eccessivo, o con gradazione alcolica inferiore a quella prevista)

Cromatografia
Tecnica usata nell'analisi chimica per separare sostanze pure da miscele complesse, basata sui principi dell'adsorbimento selettivo. Fu scoperta nel 1906 dal botanico Mikhail Tswett, ma non ebbe applicazione pratica fino agli anni Trenta. Tswett separò alcuni pigmenti delle piante (vedi Clorofilla) versando etere di petrolio, nel quale erano state precedentemente immerse foglie verdi, in un tubo di vetro (colonna) riempito di carbonato di calcio. Mentre la soluzione percolava attraverso la colonna, i vari componenti si spostavano a diverse velocità, dando luogo a un cromatogramma, ossia a una successione di bande orizzontali di diversi colori, corrispondenti ai vari pigmenti.
Oggigiorno, per la cromatografia su colonna si usano vari adsorbenti, tra cui la silice, l'allumina e il gel di silice. Nella cromatografia di ripartizione, attualmente piuttosto impiegata, su questi solidi vengono adsorbiti dei liquidi, che a loro volta fungono da adsorbenti. Sono usate diverse varianti di questa tecnica: nella cromatografia HPLC (High Performance Liquid Chromatography, cromatografia ad alto rendimento), si utilizzano liquidi adsorbiti su particelle molto sottili e uniformi, e ciò permette di raggiungere una grande sensibilità; nella cromatografia di ripartizione su strato sottile si impiega invece come colonna una sottile lastra di materiale adsorbente.
Nella cromatografia su carta, il campione liquido scorre lungo una striscia verticale sulla quale si depositano i componenti.
La separazione di miscele gassose o di sostanze vaporizzate si ottiene applicando un'altra tecnica, conosciuta come cromatografia gas-liquida (la cromatografia gas-solida è molto meno usata): la miscela vaporizzata è spinta da un gas inerte lungo un tubo a spirale di piccola sezione, che viene riempito con un materiale adsorbente lungo il quale le diverse sostanze scorrono a differenti velocità. Nella cromatografia per scambio di ioni, la sostanza in esame viene invece analizzata attraverso lo studio dei diversi comportamenti che i componenti manifestano attraversando una colonna riempita con una resina scambiatrice di ioni. La cromatografia gel permeabile, usata soprattutto per separare e analizzare molecole complesse, si basa sulla differente azione filtrante di un adsorbente con pori di dimensioni uniformi.
La cromatografia è molto usata per l'analisi dei cibi, delle droghe, del sangue, dei prodotti petroliferi e dei prodotti della fissione nucleare.
Separazione degli estratti di carota e spinaci
Uso di un gessetto come colonna cromatografia per separare gli estratti di sostanze vegetali.
Materiali: bicchierino, gessetto bianco, foglie di spinaci secche, carote grattugiate, solvente: acetone
Procedimento
Mettere le foglie di spinaci tritale o le carote grattugiate in un bicchierino; coprire con acetone ed aspettare che il solvente si colori.
Separare il liquido colorato dalla parte solida rimasta.
Introdurre un gessetto bianco, avendo cura che rimanga diritto.
Coprire il bicchierino con un vetro di orologio.
Aspettare 15-20 minuti.

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