Itinerario lungo il fiume Sarno 
              
             Tranquillo 
              Gaio Svetonio, ci racconta in un libro dedicato ai più famosi 
              retori di Roma, della presunta ascendenza divina di Marco Epidio, 
              maestro di Marco Antonio e di Ottaviano Augusto. Il trisavolo Epidio 
              noverino (o Nuncino?), precipitato a suo dire, nella fonte del fiume 
              Sarno, poco dopo ne riemerse invisibile e cornuto: divinizzato, 
              pertanto! Tra le sorgenti che ancora costituiscono il nucleo principale 
              del fiume Rio Santa Marina, Palazzo e Foce, è quest’ultima 
              che preserva il fascino, la suggestione dell’incanto e forse 
              del miracoloso evento nonostante le sue acque da un tempo non remoto 
              siano state captate. 
              Intorno ad essa, sono state ritrovate le più antiche testimonianze 
              antropiche (seconda metà del IV millennio a.C.) e di cultura 
              materiale, riconducibili ad un momento avanzato del Neolitico Medio 
              e di quello Finale. Sulla medesima area, in età ellenistica, 
              sorse un complesso sacro-architettonico, a testimonianza di culti 
              e rituali mai interrotti. 
              Esattamente qui, nei primi anni Sessanta del XX secolo, nel corso 
              di "traumatici sbancamenti edificatori" venne alla luce 
              un teatrino, edificato intorno al II secolo a.C; era parte integrante 
              del santuario, dedicato forse al Sarno, deus dei confederati nocerini, 
              o più verosimilmente, ad una divinità ctonia. L'edificio 
              scenico, piccolo gioiello d'architettura, è addossato al 
              dolce declivio della collina. Le inconfondibili nuances giallo ambrate 
              della pietra calcarea locale si confondono con il tufo grigio nocerino, 
              caratterizzato dagli intensi riflessi blu oltremarino degli eleganti 
              sedili della proedria, la zona dove prendevano posto le massime 
              autorità cittadine. La raffinatezza è sottolineata 
              dalle spalliere, raccordate ai sedili dell’ima cavea, mediante 
              braccioli a guisa di sfingi e di zampa leonina. 
              Dell'area sacra faceva parte anche un tempio non ancora individuato 
              e forse da ricercare alle sue spalle, considerando che tutto il 
              complesso si atteneva a schemi struttivi, ben noti in ambito ellenistico-romano, 
              ad esempio a Tivoli o a Palestrina. E’ possibile ammirare, 
              al momento, le eleganti statuine votive femminili e gli altri ex 
              voto fittili, rinvenuti in loco. Non sono più capaci, purtroppo, 
              decontestualizzati, di ridare al luogo ed alle sue acque lustrali, 
              quella arcana congiunzione con la divinità tipica dei santuari 
              antichi. 
              Se la dimensione ancestrale del deus loci ci è ignota, resta 
              la visione, a tutto campo, salendo sul punto più alto dello 
              scenografico terrazzo, sopra la cavea, della straordinaria pianura, 
              solcata dal grande fiume, fino al punto in cui si congiunge al Tirreno, 
              di fronte all'isolotto di Rovigliano. 
              Poco lontano, sempre a Foce, si intravede un ampio tratto del monumentale 
              acquedotto d'epoca augustea, edificato in forma di ponte-canale 
              in laterizio, adornato da nicchioni absidati. In località 
              Garitta, verso Palma Campania, all’ interno di una vasta necropoli 
              antica, è venuta alla luce, tra le altre, una stupefacente 
              tomba a cassa, costituita da lastre di tufo, dipinte, definita "del 
              guerriero", in considerazione del tema iconografico raffigurato 
              sulle pareti. 
              Come ha precisato l'archeologa Laura Rota, scopritrice della sepoltura, 
              è inquadrabile entro il IV secolo a.C. ed appartiene ad un 
              esponente dell'élite sannitica che ha dominato su un'estesa 
              area della Campania antica.  
              
              
             
              Oltre la vivacità delle accese cromie dal giallo al turchese, 
              al rosso sanguigno delle gote dei personaggi raffigurati a colpire 
              sono l'ingenuità e l'immediatezza compositiva. 
              II racconto procede, sulle quattro lastre dipinte, per sequenze 
              diacroniche. Alla scena del ritorno di un cavaliere di giovane età, 
              dalla chioma scura, si alterna, sulla parete di fronte, una donna 
              coronata, dai tratti alteri, assisa su un carro: due uomini la precedono 
              a formare il corteo funebre; l'uno è retrospiciente, l'altro 
              sostiene la coda del cavallo di un ulteriore guerriero, avanzato 
              negli anni, (con molta probabilità, il defunto, nel momento 
              estremo del trapasso), posto sulla lastra più breve. Sul 
              versante opposto, una ghirlanda. E, tra le figure, melograni, simboli 
              naturali e sacri della continuità della vita: l'unità 
              che contiene il molteplice. 
              Attualmente, la tomba e tutto il corredo sono in fase di restauro, 
              per trovare, successivamente, una nuova collocazio-ne a Palazzo 
              Capua, nel centro storico del paese. Stupendo edificio settecentesco 
              ospiterà il Museo della Valle del Sarno. Presto saranno esposti 
              i manufatti della cultura materiale delle 1500 e più tombe, 
              finora rinvenute, tra Sarno, San Valentino Torio 
              e San Marzano. 
              Seguendo il lento deflusso delle acque del fiume, verso la valle 
              che porta il suo nome, e lungo le sponde, si insediarono i primi 
              abitanti (i Sarrasti della tradizione remota). Lo scrittore romano 
              Servio, nel descriverli, si basa su quanto Conone, un suo predecessore, 
              aveva riferito: "... Alcuni Pelasgi ed altri usciti dal Peloponneso 
              giunsero in quel luogo d'Italia, che non aveva alcun nome prima, 
              e diedero il nome di Sarno al fiume presso il quale abitarono, dalla 
              denominazione della loro patria, e chiamarono se stessi Sarrasti...". 
              Mitici o reali, lottarono e convissero con due grandi forze della 
              natura, il Vesuvio ed il Sarno, senza soluzione di continuità, 
              nonostante a fasi alterne, si siano inurbati in piccoli o grandi 
              centri, Nuceria ad esempio, in posizione più centrale, nella 
              grande pianura. Rinvenimenti di resti di capanne dell'età 
              del bronzo a Poggiomarino, nei pressi del fiume, testimoniano la 
              specularità della vita rispetto al culto del defunto, abbondantemente 
              attestato in tutti i centri sorti sulle sue rive. 
              San Valentino Torio, 
              per usare le parole di Marisa de' Spagnolis, "... ha topograficamente 
              l'aspetto di un ventaglio aperto, la cui base è costituita 
              dal tracciato del Fosso Imperatore, affluente del Sarno e la cui 
              parte curvilinea è formata dal percorso del celebre fiume 
              nella sua parte iniziale. Questa configurazione geografica doveva 
              esistere anche anticamente e, pertanto... aveva la caratteristica 
              di essere completamente delimitato da corsi d'acqua". 
              II territorio è contraddistinto da grandi necropoli riconducibili 
              alla "cultura delle tombe a fossa". Si inquadrano cro-nologicamente, 
              tra il IX ed il VI secolo a.C. relative cioè all'età 
              del Ferro, al periodo orientalizzante ed all'epoca arcaica. Le più 
              antiche deposizioni (metà IX-primo quarto VIII secolo a.C.) 
              evidenziano corredi talora uniformi sia per la sfera femminile che 
              maschile. In queste ultime compaiono, nelle più sontuose, 
              armi, fibule di bronzo, askoi, tazze, scodelle monoansate ed olle 
              fittili, mentre si differenziano, nel periodo successivo, le deposizioni 
              femminili, caratterizzate da oggetti legati all'ornamento personale 
              ed alle attività muliebri. 
              Le tombe arcaiche denotano la comparsa dei vasi di bucchero e la 
              presenza di ceramica di produzione locale, con un'enorme ricchezza 
              di reperti metallici. Due altari in muratura, eretti l'uno accanto 
              all'altro, in campagna, recentemente scoperti, costituiscono una 
              importantissima testimonianza d'epoca romana. Sono pertinenti, con 
              molta probabilità ad un luogo di culto, interrato dall'attività 
              eruttiva del 79 d.C. Interessanti sono altresì, i resti di 
              una villa rustica, impiantata nel corso del I secolo a.C. Ampliata 
              successivamente all'eruzione vesuviana che seppellì Pompei, 
              Ercolano, Oplonti etc., fu ancora attiva a lungo.  
               II Fosso Imperatore, separa 
              San Valentino Torio da San Marzano che ad occidente, 
              è attraversata dal Sarno. Proseguendo tra le cannucce palustri, 
              i salici e le tife, che, tenaci, resistono lungo i bordi, si incontrano 
              le gallinelle d'acqua e le folaghe, insieme a domestiche anatre. 
              Questi ultimi radi (remoti?) angoli costituiscono la spinta e la 
              sfida a ridare al fiume l'identità a lungo negata. L'istituzione 
              del Parco Regionale del Fiume Sarno costituisce il passo preliminare 
              per il processo di "sviluppo della risorsa ambiente", 
              uno dei progetti strategici di primo piano del Patto Territoriale 
              per l'Occupazione delI'Agro Nocerino Sarnese. 
              Esattamente a San Marzano è stato individuato parte di un 
              argine antico del fiume, sepolto dall'eruzione si è delimitato 
              ad oriente, un ulteriore tratto del tracciato, di epoca romana. 
              Almeno fino a Scafati, come dimostrato dai rinvenimenti che attestano 
              la presenza del Pons Sarni, il fiume ha man-tenuto inalterati per 
              molto tempo il corso e l'assetto. Mutata la portata d'acqua, da 
              tempo non è più navigabile. Eppure il geografo greco 
              Strabone, a proposito di Pompei, la ricorda "... presso il 
              fiume Sarno che accetta e spedisce merci...". 
              Restano gli affreschi della Casa del Larario del Sarno a mostrare 
              una barca colma di derrate, tirata innanzi da due asini, mentre 
              il fiume, nelle spoglie di un dio, profonde acqua da un'anfora. 
              Ebbene, esso ha regolato, anche a San Marzano, come in tutti i centri 
              della piana, il ciclo vitale, testimoniato dalle necropoli rinvenute 
              nel territorio. Fossakultur anche qui. 
              Un repertorio ceramico però, più modesto. Consta di 
              poche forme reiterate, associate spesso ad imitazioni di prodotti 
              greci ed inoltre, a vaghi di collane d'ambra, di faience e di pasta 
              vitrea. 
              Nelle vetrine dell'Antiquarium, annesso al Palazzo di Città, 
              sobrio edificio della seconda meta del XIX secolo, erano esposte, 
              fino a qualche tempo fa, ancorette pissidi, provenienti da alcune 
              deposizioni scavate negli ultimi anni. 
              Più a valle , a Scafati, il Sarno lambirà, secoli 
              dopo la protostoria, ville rustiche di grandi estensioni che facevano 
              parte del suburbio orientale di Pompei, connotando fino ai giorni 
              nostri la vocazione prettamente agricola di tutta la Valle. Nella 
              feracità della terra e nella coltura del pomodoro, all’inizio 
              del Novecento vi è stato nuovo impulso economico con la creazione 
              di un polo conserviero tuttora elemento portante di sviluppo. 
              Dove oggi insiste il moderno centro cittadino venne costruito in 
              età antica, il Pons Sarni, situato sulla Nuceria-Pompeios, 
              la grande arteria viaria tra le due famose città dell’antichità.
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