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Progetto Icaro 2007 - Iti "G.Marconi", Nocera Inferiore, Salerno

 

Itinerario lungo il fiume Sarno

Tranquillo Gaio Svetonio, ci racconta in un libro dedicato ai più famosi retori di Roma, della presunta ascendenza divina di Marco Epidio, maestro di Marco Antonio e di Ottaviano Augusto. Il trisavolo Epidio noverino (o Nuncino?), precipitato a suo dire, nella fonte del fiume Sarno, poco dopo ne riemerse invisibile e cornuto: divinizzato, pertanto! Tra le sorgenti che ancora costituiscono il nucleo principale del fiume Rio Santa Marina, Palazzo e Foce, è quest’ultima che preserva il fascino, la suggestione dell’incanto e forse del miracoloso evento nonostante le sue acque da un tempo non remoto siano state captate.
Intorno ad essa, sono state ritrovate le più antiche testimonianze antropiche (seconda metà del IV millennio a.C.) e di cultura materiale, riconducibili ad un momento avanzato del Neolitico Medio e di quello Finale. Sulla medesima area, in età ellenistica, sorse un complesso sacro-architettonico, a testimonianza di culti e rituali mai interrotti.
Esattamente qui, nei primi anni Sessanta del XX secolo, nel corso di "traumatici sbancamenti edificatori" venne alla luce un teatrino, edificato intorno al II secolo a.C; era parte integrante del santuario, dedicato forse al Sarno, deus dei confederati nocerini, o più verosimilmente, ad una divinità ctonia. L'edificio scenico, piccolo gioiello d'architettura, è addossato al dolce declivio della collina. Le inconfondibili nuances giallo ambrate della pietra calcarea locale si confondono con il tufo grigio nocerino, caratterizzato dagli intensi riflessi blu oltremarino degli eleganti sedili della proedria, la zona dove prendevano posto le massime autorità cittadine. La raffinatezza è sottolineata dalle spalliere, raccordate ai sedili dell’ima cavea, mediante braccioli a guisa di sfingi e di zampa leonina.
Dell'area sacra faceva parte anche un tempio non ancora individuato e forse da ricercare alle sue spalle, considerando che tutto il complesso si atteneva a schemi struttivi, ben noti in ambito ellenistico-romano, ad esempio a Tivoli o a Palestrina. E’ possibile ammirare, al momento, le eleganti statuine votive femminili e gli altri ex voto fittili, rinvenuti in loco. Non sono più capaci, purtroppo, decontestualizzati, di ridare al luogo ed alle sue acque lustrali, quella arcana congiunzione con la divinità tipica dei santuari antichi.
Se la dimensione ancestrale del deus loci ci è ignota, resta la visione, a tutto campo, salendo sul punto più alto dello scenografico terrazzo, sopra la cavea, della straordinaria pianura, solcata dal grande fiume, fino al punto in cui si congiunge al Tirreno, di fronte all'isolotto di Rovigliano.
Poco lontano, sempre a Foce, si intravede un ampio tratto del monumentale acquedotto d'epoca augustea, edificato in forma di ponte-canale in laterizio, adornato da nicchioni absidati. In località Garitta, verso Palma Campania, all’ interno di una vasta necropoli antica, è venuta alla luce, tra le altre, una stupefacente tomba a cassa, costituita da lastre di tufo, dipinte, definita "del guerriero", in considerazione del tema iconografico raffigurato sulle pareti.
Come ha precisato l'archeologa Laura Rota, scopritrice della sepoltura, è inquadrabile entro il IV secolo a.C. ed appartiene ad un esponente dell'élite sannitica che ha dominato su un'estesa area della Campania antica.

 


Oltre la vivacità delle accese cromie dal giallo al turchese, al rosso sanguigno delle gote dei personaggi raffigurati a colpire sono l'ingenuità e l'immediatezza compositiva.
II racconto procede, sulle quattro lastre dipinte, per sequenze diacroniche. Alla scena del ritorno di un cavaliere di giovane età, dalla chioma scura, si alterna, sulla parete di fronte, una donna coronata, dai tratti alteri, assisa su un carro: due uomini la precedono a formare il corteo funebre; l'uno è retrospiciente, l'altro sostiene la coda del cavallo di un ulteriore guerriero, avanzato negli anni, (con molta probabilità, il defunto, nel momento estremo del trapasso), posto sulla lastra più breve. Sul versante opposto, una ghirlanda. E, tra le figure, melograni, simboli naturali e sacri della continuità della vita: l'unità che contiene il molteplice.
Attualmente, la tomba e tutto il corredo sono in fase di restauro, per trovare, successivamente, una nuova collocazio-ne a Palazzo Capua, nel centro storico del paese. Stupendo edificio settecentesco ospiterà il Museo della Valle del Sarno. Presto saranno esposti i manufatti della cultura materiale delle 1500 e più tombe, finora rinvenute, tra Sarno, San Valentino Torio e San Marzano.
Seguendo il lento deflusso delle acque del fiume, verso la valle che porta il suo nome, e lungo le sponde, si insediarono i primi abitanti (i Sarrasti della tradizione remota). Lo scrittore romano Servio, nel descriverli, si basa su quanto Conone, un suo predecessore, aveva riferito: "... Alcuni Pelasgi ed altri usciti dal Peloponneso giunsero in quel luogo d'Italia, che non aveva alcun nome prima, e diedero il nome di Sarno al fiume presso il quale abitarono, dalla denominazione della loro patria, e chiamarono se stessi Sarrasti...". Mitici o reali, lottarono e convissero con due grandi forze della natura, il Vesuvio ed il Sarno, senza soluzione di continuità, nonostante a fasi alterne, si siano inurbati in piccoli o grandi centri, Nuceria ad esempio, in posizione più centrale, nella grande pianura. Rinvenimenti di resti di capanne dell'età del bronzo a Poggiomarino, nei pressi del fiume, testimoniano la specularità della vita rispetto al culto del defunto, abbondantemente attestato in tutti i centri sorti sulle sue rive.
San Valentino Torio, per usare le parole di Marisa de' Spagnolis, "... ha topograficamente l'aspetto di un ventaglio aperto, la cui base è costituita dal tracciato del Fosso Imperatore, affluente del Sarno e la cui parte curvilinea è formata dal percorso del celebre fiume nella sua parte iniziale. Questa configurazione geografica doveva esistere anche anticamente e, pertanto... aveva la caratteristica di essere completamente delimitato da corsi d'acqua".
II territorio è contraddistinto da grandi necropoli riconducibili alla "cultura delle tombe a fossa". Si inquadrano cro-nologicamente, tra il IX ed il VI secolo a.C. relative cioè all'età del Ferro, al periodo orientalizzante ed all'epoca arcaica. Le più antiche deposizioni (metà IX-primo quarto VIII secolo a.C.) evidenziano corredi talora uniformi sia per la sfera femminile che maschile. In queste ultime compaiono, nelle più sontuose, armi, fibule di bronzo, askoi, tazze, scodelle monoansate ed olle fittili, mentre si differenziano, nel periodo successivo, le deposizioni femminili, caratterizzate da oggetti legati all'ornamento personale ed alle attività muliebri.
Le tombe arcaiche denotano la comparsa dei vasi di bucchero e la presenza di ceramica di produzione locale, con un'enorme ricchezza di reperti metallici. Due altari in muratura, eretti l'uno accanto all'altro, in campagna, recentemente scoperti, costituiscono una importantissima testimonianza d'epoca romana. Sono pertinenti, con molta probabilità ad un luogo di culto, interrato dall'attività eruttiva del 79 d.C. Interessanti sono altresì, i resti di una villa rustica, impiantata nel corso del I secolo a.C. Ampliata successivamente all'eruzione vesuviana che seppellì Pompei, Ercolano, Oplonti etc., fu ancora attiva a lungo.
II Fosso Imperatore, separa San Valentino Torio da San Marzano che ad occidente, è attraversata dal Sarno. Proseguendo tra le cannucce palustri, i salici e le tife, che, tenaci, resistono lungo i bordi, si incontrano le gallinelle d'acqua e le folaghe, insieme a domestiche anatre. Questi ultimi radi (remoti?) angoli costituiscono la spinta e la sfida a ridare al fiume l'identità a lungo negata. L'istituzione del Parco Regionale del Fiume Sarno costituisce il passo preliminare per il processo di "sviluppo della risorsa ambiente", uno dei progetti strategici di primo piano del Patto Territoriale per l'Occupazione delI'Agro Nocerino Sarnese.
Esattamente a San Marzano è stato individuato parte di un argine antico del fiume, sepolto dall'eruzione si è delimitato ad oriente, un ulteriore tratto del tracciato, di epoca romana.
Almeno fino a Scafati, come dimostrato dai rinvenimenti che attestano la presenza del Pons Sarni, il fiume ha man-tenuto inalterati per molto tempo il corso e l'assetto. Mutata la portata d'acqua, da tempo non è più navigabile. Eppure il geografo greco Strabone, a proposito di Pompei, la ricorda "... presso il fiume Sarno che accetta e spedisce merci...".
Restano gli affreschi della Casa del Larario del Sarno a mostrare una barca colma di derrate, tirata innanzi da due asini, mentre il fiume, nelle spoglie di un dio, profonde acqua da un'anfora. Ebbene, esso ha regolato, anche a San Marzano, come in tutti i centri della piana, il ciclo vitale, testimoniato dalle necropoli rinvenute nel territorio. Fossakultur anche qui.
Un repertorio ceramico però, più modesto. Consta di poche forme reiterate, associate spesso ad imitazioni di prodotti greci ed inoltre, a vaghi di collane d'ambra, di faience e di pasta vitrea.
Nelle vetrine dell'Antiquarium, annesso al Palazzo di Città, sobrio edificio della seconda meta del XIX secolo, erano esposte, fino a qualche tempo fa, ancorette pissidi, provenienti da alcune deposizioni scavate negli ultimi anni.
Più a valle , a Scafati, il Sarno lambirà, secoli dopo la protostoria, ville rustiche di grandi estensioni che facevano parte del suburbio orientale di Pompei, connotando fino ai giorni nostri la vocazione prettamente agricola di tutta la Valle. Nella feracità della terra e nella coltura del pomodoro, all’inizio del Novecento vi è stato nuovo impulso economico con la creazione di un polo conserviero tuttora elemento portante di sviluppo.
Dove oggi insiste il moderno centro cittadino venne costruito in età antica, il Pons Sarni, situato sulla Nuceria-Pompeios, la grande arteria viaria tra le due famose città dell’antichità.