Scafati - La storia
Ne' la tradizione letteraria, ne'
gli scavi archeologici eseguiti nella valle del Sarno hanno dato
notizia della presenza di un insediamento umano, nell'odierna Scafati,
durante la prima eta' del ferro (IX-VII secolo a.C.). Se si considera
che gli scavi eseguiti nella valle in epoche diverse hanno restituito
alla luce i sepolcreti di Striano, S. Marzano sul Sarno e S. Valentino
Torio, si ha motivo di ritenere che la popolazione del protostorico,
nel corso del proprio dislocamento lungo il Sarno, non ritenne opportuno
insediarsi nell'area che oggi appartiene al comune di Scafati.
La ragione e' da ricercarsi nel rapporto intercorso fra l'area stessa
e il primo nucleo abitativo di Pompei, fondato da genti osche dedite
al commercio piu' che all'agricoltura.
Il fiume Sarno era il naturale tratto d'unione fra la costa campana
e il suo immediato entroterra; su di essa infatti, gia' dai tempi
della civilta' osca, correvano le imbarcazioni mercantili.
Riferendosi quindi al territorio di Scafati, e' lecito dire che,
relativamente ai primi segni di attivita' economica, prima dei campi,
fu il fiume. Due avvenimenti politici segnarono pero' l'estendersi
dell'agricoltura verso Scafati: il primo fu conseguenza della politica
commerciale di Napoli che oriento' le proprie attivita' verso il
retroterra vesuviano, il secondo va collegato a un fenomeno di riversamento
dei sanniti piu' poveri delle montagne verso zone rimaste scoperte.
Durante le guerre sannitiche, Roma lego' Nocera ai suoi interessi
economici e militari mediante un patto federale vantaggioso, grazie
al quale il territorio della confederazione nocerina sarebbe rimasto
esente da ogni influenza di legislazione romana e il popolo avrebbe
continuato a organizzarsi secondo i tradizionali ordini, senatorio,
equestre e plebeo, a garanzia, insomma, di una piena autonomia economica
e amministrativa.
Dopo la prima meta' del I secolo d.C. il territorio pompeiano continuava
a godere dei benefici della feracita' del suolo e la popolazione
a fruire delle conseguenze degli intensi scambi commerciali con
le altre regioni italiche, quando il terremoto del 62 e l'eruzione
del 79 vennero a turbare una vita fondata sul lavoro e sull'agiatezza.
Nella storiografia locale, tutta la campagna dell'Ager Nucerinus
viene associata alla stessa sorte delle campagne pompeiane, ma in
realta' le cose dovettero andare in altro modo.
I ritrovamenti effettuati nella zona dimostrano, infatti, che essa
costitui' una via di scampo, creando dopo qualche tempo i presupposti
per la continuazione della vita alla sparuta gente che era riuscita
a salvarsi.
La vita economica riprese, quindi, a dispetto di ogni difficolta',
e la produttivita' agricola crebbe a tal punto da destare le mire
dei duchi napoletani durante la dominazione bizantina, a partire
dal VI secolo.
La valle continuo' a gravitare nell'area bizantina, finche', nel
601, Arechi, duca di Benevento, l'occupo' dopo feroci devastazioni.
Nel 652, Arechi, strappata Salerno al ducato di Napoli, costituì
il principato salernitano, mentre Sarno passava sotto la dominazione
longobarda.
Il corso del fiume Sarno cesso' di essere la linea di delimitazione
tra i due principati, entrambi aspiranti a maggior gloria e potenza.
Fu cosi' che il territorio di Scafati rimase ancora assegnato al
ducato di Napoli, ma la separazione fra i due stati non garantiva
certa una pace sicura alle popolazioni poste lungo la linea di confine.
Nel corso del IX secolo, infatti, alcuni mutamenti politici portarono
alla ridefinizione dell'assetto territoriale e dall'anno 848 il
territorio di Scafati entro' a far parte, dal punto di vista politico
e strategico, della valle del Sarno, passando dalla denominazione
bizantina a quella longobarda del principato di Salerno.
Questi anni videro la popolazione della valle fare dura esperienza
delle lotte intestine e dell'invasione mussulmana; a difesa delle
scorriere saracene venne elevata la torre, vicino al fiume.
Nella prima meta' del XII secolo, sul suolo dell'Italia meridionale
avevano gia' messo piede i Normanni e Ruggiero II dominava la scena
militare e politica carezzando sogni di grandezza che diventeranno
realta' nel 1140, allorquando entrera' trionfalmente in Napoli,
dopo duri scontri militari, diventando re di Sicilia e di Puglia,
cioe' di un potente stato, accentrato e unitario.
Ciò porto' sicurezza nelle campagne, perche' determino' la
cessazione delle furibonde guerre combattute fra i conti e i principi.
Con l'avvento della dinastia normanna il territorio continuo' a
essere prevalentemente demaniale (il Catalogus baronum riporta notizia
di un Signore a Lettere e di un altro a Nocera, e nulla piu') e
tale rimase fino all'avvento degli Angioini. L'assenza di altri
baroni nella valle conferma l'potesi della demanialita' della zona,
che era sottoposta a particolare amministrazione per cio' che concerneva
il rendimento dei terreni e la loro concessione, ma a nessuna soggezione
politica.
Quando quella stessa terra si avvio' a ridiventare coltivabile e
una popolazione inizio' a fermarsi per lavorarla e abitarvi, fu
donata a Riccardo Filangieri da papa Innocenzo III, divenuto in
quegli anni unico e vero padrone dell'Italia meridionale. Era l'anno
1254. Estintasi la famiglia Filangieri, la terra di Scafati ritorno'
al regio demanio e segnatamente alla corona angioina, che si trovava
gia' stabilmente insediata nel Meridione, nel 1266. La nuova situazione
non fu certo migliore: alla tolleranza degli Svevi si sostitui'
un'ostinata e crudele intrasigenza che impedi' all'Italia meridionale
e alla Sicilia di raggiungere lo splendore che aveva cominciato
ad annunciarsi sotto la caduta dominazione.
La presenza di una monarchia stabile a Napoli, pero', determino'
miglioramenti nelle condizioni di vita nella citta' e un nuovo e
piu' intenso rapporto con la vicina campagna.
L'Agro Nocerino-Sarnese, per essere molto fertile, oltre che vicino
alla capitale, si trovo' investito di piu' larghe e frequenti richieste
di vettovagliamento, il che dette impulso allo sviluppo e all'incremento
dell'agricoltura che dovette rispondere anche alle sollecitudini
del commercio.
Il nuovo signore di Scafati fu un tal Radulfo di Soissons, conte
delle terre di Loreto; alla sua morte, nel 1272, la sua corte ne
riassorbi' i possedimenti.
Nel 1284, Carlo II d'Angio' concesse la terra di Scafati al monastero
di S. Maria di Realvalle come un feudo nobile, con la torre, gli
uomini, i diritti, l'esercizio della giurisdizione, le ragioni e
le pertinenze, a condizione che gli abati, in cambio del beneficio
ricevuto e in riconoscimento della grazia fatta loro, si sentissero
obbligati a corrispondere al donatore e ai suoi eredi, una proporzionata
quantita' di orzo per mantenere il cavallo e il palafreniere.
L'abbazia tenne il feudo sino ad alcuni anni prima del 1355, quando
la regina Giovanna I lo concesse al Gran Siniscalco del Regno, Niccolo'
Acciaiuoli.
Da qui il feudo torno' nuovamente nelle mani dell'abbazia (tralasciamo
tutte le altre infeudazioni),alla quale fu tolto definitivamente
nel 1464 per donazione fattane da papa Pio II a suo nipote Antonio
Piccolomini, liberatore della terra scafatese per conto di Alfonso
d'Aragona. Con quest'ultimo passaggio si chiuse la lunga serie di
infeudazioni cui fu esposta la terra di Scafati; uomini e vassalli
furono sottoposti al dominio di una delle piu' illustri e piu' potenti
famiglie dell'Italia centrale e meridionale, che li governo' fino
all'anno 1806.
Intorno all'anno 1532 si verificarono alcuni fattori favorevoli
al miglioramento dell'economia agricola: ai terreni vulcanici fertilissimi,
adatti alle colture campestri e seminatorie, si aggiunsero quelli
ricavati dalla riduzione dell'area boschiva, rendendo così
possibile l'estendersi dell'area messa a coltura; furono impiantati
modesti opifici (gualchiera, romiera, polverificio) e mulini feudali
in localita' Bottaro e fu aperta la strada regia, lungo la quale
si intensifico' il traffico commerciale.
Erano i segni della nuova mentalita' rinascimentale dell'uomo intraprendente
e dell'influenza economica e finanziaria della scoperta dell'America,
seguita dal rialzo dei prezzi e dalla rivalutazione dei terreni.
Scafati ne fu direttamente investita e si giovo' di altri fattori:
la decadenza dell'abbazia di Realvalle e l'impianto di alcune colture
tessili, anche se in modeste quantita'.
Messi insieme, questi fattori fecero si' che il territorio scafatese
assumesse un 'importanza mai avvertita prima e venisse a trovarsi
al centro dei commerci e dei transiti nella valle del Sarno, nel
momento in cui i traffici si incrementavano e il passaggio delle
merci sul fiume avvertiva un proficuo sviluppo.
Il traffico e il commercio richiamarono, sul posto piu' vicino al
fiume, nuova gente e altra popolazione, e avrebbero di lì
a poco dato inizio a una floridezza economica senza precedenti,
se il signore di Scafati non avesse modificato l'alveo del fiume,
causando il disastroso impaludamento di buona parte dei terreni
e la recrudescenza della malaria.
Connessa all'incremento demografico ed economico fu l'estensione
dell'insediamento urbano che, dalla vecchia zona denominata Vaglio
e Fontana, presso la chiesetta di S. Giacomo e della Croce Santa,
si prolungava verso occidente al di la' del fiume, a via delle Mura
e via dei Mulini.
Al di qua' del fiume si trovava la chiesa parrocchiale e la congrega
laicale di S. Maria delle Vergini.
Il centro storico, che ancora oggi viene chiamato Vitrare, comincio'
invece a sorgere e a svilupparsi nella seconda meta' del XVIII secolo.
Infatti il fiscalismo spagnolo, la degradazione ecologica della
valle da Scafati a Sarno, il calo della popolazione e le epidemie
del secolo, non poterono certo incoraggiare qualsivoglia sviluppo
urbanistico.
Nel biennio 1647-48 la valle fu nuovamente teatro della guerra che
si combatte' fra le forze popolari e quelle baronali come riflesso
immediato della rivolta di Masaniello, scoppiata pochi mesi prima
a Napoli.
In questa congiuntura, la torre posta sul fiume a Scafati fu nuovamente
considerata punto strategico per il mantenimento delle vie di Calabria
e, conseguentemente, contesa da ambedue le frazioni in lotta.
La sua caduta in mano alle forze baronali segnò l'inizio
di un triste periodo di rassegnata sottomissione del ceto rurale
alla volonta' dei baroni.
L'ideale rivoluzionario della repubblica partenopea del 1799, nell'Agro
e a Scafati in particolare, ebbe vita brevissima.
Fatta eccezione di uno sparuto gruppo, il popolo e la classe intellettuale
rimasero indifferenti o volutamente estranei al movimento delle
idee, senza lasciarsi travolgere dai fatti immediati. In questa
zona la repubblica fu una ventata insignificante che non vide piu'
rivivere l'ardore e il coraggio testimoniati dall'aspra guerra contadina
del tempo di Masaniello. Pochi anni dopo, prolungata la legge eversiva
della feudalita', la terra della vicina S. Pietro cesso' di essere
autonoma; la popolazione venne aggregata a quella di Scafati e affidata
alla giurisdizione dell'amministrazione comunale dello stesso. Era
l'anno 1810. In questo secolo va collocata la nascita dell'industria
tessile scafatese.
La tennero a battesimo nuove leggi doganali, le nuove tariffe e
una serie di fattori naturali che, unitamente alla produzione del
cotone, del lino e della canapa, fecero rinascere sul territorio
l'attivita' industriale.
Primo protagonista fu un cittadino svizzero, Giovan Giacomo Meyer
che, come altri suoi concittadini vide nel regno di Napoli l'unica
via di scampo al sicuro disastro dell'industria serica di Zurigo
e a quella cotoniera di S. Gallo.
Tratto da: V. Cimmelli, Storia di Scafati e di S. Pietro suo villaggio
a cura di A. Pesce, Biblioteca Comunale di Scafati, 1997
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