Che Guevara da neonato

Che Guevara da adolescente

Che Guevara dopo la laurea

 

LA VITA DEL CHE

 Ernesto Guevara de la Serna è nato a Rosario, in Argentina, il 14 giugno 1928.Il padre è un piccolo imprenditore relativamente benestante. Dal 1930 Ernesto è afflitto dall'asma, che lo seguirà per tutta la vita. La famiglia si trasferisce ad Alta Gracia, sulla Sierra di Cordoba, dove il clima sembra consentire un miglioramento delle sue condizioni di salute. Studia con l'aiuto della madre, che avrà un ruolo determinante nella sua formazione umana e politica. Nel 1936-1939 segue con passione le vicende della guerra civile spagnola, per la quale i genitori si sono impegnati attivamente. La malattia e la passione per lo studio non gli impediscono di praticare molto sport. A partire dal 1944 le condizioni economiche della famiglia peggiorano, ed Ernesto comincia a lavorare più o meno saltuariamente. Legge moltissimo, senza impegnarsi troppo nello studio scolastico, che lo interessa solo in parte. Comincia i suoi viaggi di esplorazione, prima in bicicletta, poi con un motorino e in motocicletta, compiendo migliaia di chilometri in Argentina e in altri paesi delle Americhe. Si iscrive alla facoltà di Medicina e approfondisce le sue conoscenze lavorando gratuitamente all'istituto di ricerche sulle allergie, a Buenos Aires (dove la famiglia si è trasferita nel 1945).Alla fine del 1951, alla vigilia della laurea, parte in motocicletta con l'amico Alberto Granado per un giro del continente. In Cile abbandonano la moto, ormai inservibile, e proseguono con mezzi di fortuna, lavorando dove e come capita. In Perù visitano due lebbrosari, trattenendosi a lungo in uno di essi. Proseguono verso la Colombia su una zattera costruita per loro dai lebbrosi, che sono stati affascinati dalla disponibilità umana e dalla sensibilità dei due giovani (Granado è un biologo laureato ma anche il giovane laureando Guevara è già in grado di collaborare al miglioramento delle condizioni dei ricoverati). Guevara, attraverso il Venezuela, raggiunge poi gli Stati Uniti. Rientrato alla fine del 1952 a Buenos Aires, supera in pochi mesi i molti esami che gli mancano e si laurea con una tesi sull'allergia. Riparte quasi subito e raggiunge il Guatemala dove è in corso l'esperienza riformista di Jacobo Arbenz. Si mantiene con lavori occasionali (non gli è riconosciuta la laurea argentina).Incontra Hilda Gadea, una peruviana che sarà la sua prima moglie, e attraverso lei conosce un gruppo di cubani che hanno partecipato all'assalto alla Caserma Moncada e gli parlano di Fidel Castro. Il 17 giugno 1954 vive la drammatica esperienza della spedizione mercenaria che liquida il governo Arbenz (che non ha voluto armare le masse e si è affidato all'esercito regolare che lo ha abbandonato al momento decisivo. Rifugiatosi in Messico, scrive il suo primo articolo politico, sull'esperienza guatemalteca. Lavora come medico, e continua a frequentare gli esuli cubani. Nel luglio 1955 arriva in Messico anche Fidel, e Guevara si offre come medico per la spedizione a Cuba. Partecipa agli allenamenti (escursioni, nuoto, tiro) poi ai corsi sulla storia e l'economia di Cuba e alle lezioni di teoria militare impartite dal generale repubblicano spagnolo Alberto Bayo. Agli inizi del 1956 la polizia messicana scopre il rancho in cui si addestrano gli esuli cubani. Guevara passa due mesi in carcere. Il 25 novembre 1956 è tra gli 82 che si imbarcano sul Granma. La traversata è rovinosa per il maltempo e il sovraccarico, lo sbarco catastrofico. L'insurrezione di Santiago è avvenuta alla data prevista, il 30 novembre, ma la mancata sincronizzazione con lo sbarco ha permesso alle forze di Batista di reprimerla e di accogliere poi con un fuoco tremendo il Granma. Anche Guevara è ferito, e per giorni corre gravi pericoli. Quando il 20 dicembre i sopravvissuti riprendono i contatti sono solo 17, che si ridurranno poi a 12.Ma dalla loro parte ci sono alcuni contadini già conquistati dalle idee rivoluzionarie e che hanno sostenuto dure lotte contro i tentativi di esproprio da parte dei latifondisti produttori di caffè. Il leader dei contadini assicura un sostegno prezioso e facilita i contatti con altri contadini, amici e parenti che accettano facilmente quei cittadini armati di pochi fucili e di un programma ancora confuso, ma all'interno del quale si definisce (e si incomincia a praticare) la riforma agraria. A Santiago e in altre città i militanti del Movimento 26 luglio assicurano intanto il sostegno politico, e organizzano la spedizione di armi e uomini sulla Sierra. Guevara (che comincia ad essere chiamato 'Che') annota come nei primi viaggi le sue osservazioni quotidiane. Ne uscirà dopo la vittoria una descrizione preziosa per il suo realismo antiretorica, sempre attenta a cogliere punti deboli e ingenuità, a tratteggiare caratteri umani, a registrare con franchezza successi, acquisizioni ma anche contraddizioni e sviste clamorose. Guevara intanto non fa più il medico ma è divenuto combattente a tutti gli effetti. Nel luglio 1957 diventa comandante della colonna che apre il secondo fronte. Nell'agosto 1958 è alla testa della colonna che lascia la Sierra Madre puntando verso la capitale. In ottobre arriva nella Sierra dell'Escambray, dove operano altre formazioni rivoluzionarie, e riesce a stabilire un patto di collaborazione. In dicembre comincia l'offensiva che porterà alla conquista di Santa Clara (28-31 dicembre) e poi dell'Avana (2 gennaio 1959) dove Fidel Castro arriverà diversi giorni dopo. Il 12 febbraio 1959 viene dichiarato cittadino cubano di nascita, come già il generale dominicano Màximo Gòmez durante la guerra di liberazione dalla Spagna. In giugno parte per un lungo viaggio. Visita Spagna, Egitto, India, Giappone, Indonesia, Ceylon, Pakistan, Marocco. Si incontra con Tito in Jugoslavia. Durante il viaggio segue con attenzione e partecipazione la lotta palestinese (ancora agli inizi) e quella algerina. Al ritorno a Cuba diventa responsabile del Dipartimento di industrializzazione dell'Istituto per la riforma agraria, e presidente del Banco Nacional (firmerà le banconote col suo nome di battaglia 'Che'). Organizza il lavoro volontario domenicale e scuole di formazione per i quadri delle strutture che dirige. Nel corso del 1960 si incontra con delegazioni di vari paesi socialisti. Tra ottobre e dicembre di quell'anno visita URSS, Cina, Corea del Nord, DDR, Cecoslovacchia. Firma numerosi accordi, su cui riferisce dettagliatamente alla televisione cubana al rientro. E' entusiasta e, per qualche tempo, sostanzialmente acritico. Comincerà a riflettere sul socialismo reale dopo la verifica della quantità e qualità delle forniture; nel corso dei viaggi successivi cercherà di superare i limiti degli incontri ufficiali. Intanto studia intensamente il Capitale, problemi di organizzazione del lavoro, calcolo differenziale e integrale, analisi funzionale, teoria degli insiemi e programmazione lineare. E' ministro dell'industria, ma non tralascia i compiti militari: durante lo sbarco a Playa Giròn comanda le forze rivoluzionarie nella provincia di Pìnar del Rio, dove ci sono state manovre diversive dei mercenari USA, e lo stesso farà nell'ottobre 1962 durante la crisi dei missili. Rappresenta Cuba alla Conferenza panamerica di Punta del Este, in Uruguay, dove tiene testa ai governanti reazionari e dialoga con le masse operaie e studentesche, nell'agosto 1961. Tra il 1962 e il 1964 compie numerosi viaggi ufficiali nei paesi 'socialisti' e in Africa, ma continua a impegnarsi nel lavoro Nell'agosto 1964 i lavoratori del ministero dell'Industria gli consegnano un distintivo per il suo impegno nel lavoro volontario: ha superato le 240 ore nel primo semestre dell'anno. Alla fine del 1964 compie un ultimo lungo viaggio ufficiale, che lo porta in Algeria, Mali, Congo, Gliana, Guinea, Dahomey (oggi Benin) e poi in Cina, dove ha lunghi e infruttuosi colloqui con i massimi dirigenti del partito. Dopo un ultimo giro (Egitto, Tanzania, di nuovo Algeria)rientra all'Avana il l4marzol965. E' l'ultima volta che compare in pubblico. In aprile scrive la lettera di addio ai genitori. Per molti mesi compie in incognito altri viaggi per accertare se esistono le condizioni per aprire in Africa (in particolare nel Congo ex belga, oggi Zaire) un nuovo fronte che alleggerisca la pressione militare sul Vietnam e quella politica su Cuba. Si spargono intanto voci calunniose sulla sua assenza, smentite con indignazione da Castro, che veniva accusato di essere il responsabile della sparizione. La delegazione di rivoluzionari cubani che ha raggiunto le guerriglie lumumbiste nel Congo ha concluso presto che non esistevano le condizioni soggettive indispensabili per poter aiutare i processi rivoluzionari. Durante una pausa di alcuni mesi in Tanzania, Guevara scrive il suo bilancio di quell'esperienza rimasto fino ad ora inedito. Ritorna per breve tempo in incognito a Cuba e nel novembre 1966 raggiunge la Bolivia. Il 31 dicembre incontra Mario Monje, segretario del PCB che ha promesso aiuto alla guerriglia e che non mantiene gli impegni. In febbraio inizia un giro di esplorazione nella zona di Nacahuazù, che gli sembra poco adatta alla guerriglia. Rientra il 19 marzo 1967 alla base, scoprendo che la polizia ha identificato la fattoria di appoggio, ha catturato una staffetta e ha provocato il panico di alcuni guerriglieri boliviani, che disertano).Il 23 marzo l'esercito si avvicina alla zona in cui Guevara si è accampato. Primo scontro, prima vittoria dei rivoluzionari. Molte armi catturate, molti prigionieri (rilasciati dopo un breve lavoro di chiarificazione politica).In aprile nuovi scontri, ancora favorevoli alla guerriglia, che ha però diversi feriti. Questi vengono allontanati dalla zona più pericolosa in una seconda colonna al comando di Joaquin. Per pochi giorni è previsto. Ma non si incontreranno più, pur arrivando a volte a pochi chilometri di distanza. In giugno i minatori di Catavi e Huanuni (che hanno deciso di devolvere alla guerriglia parte dei loro magri salari senza peraltro trovare i collegamenti) vengono massacrati dalle truppe governative. Règis Debray, catturato dopo una visita all'accampamento del Che, ha ammesso pubblicamente che la guerriglia è diretta da Guevara, e gli sforzi delle forze di repressione si sono ovviamente intensificati. In luglio nuovi scontri.I guerriglieri hanno due morti e due feriti e perdono parte del bagaglio, compreso lo zaino di Guevara. Sono rimasti in 22 di cui due feriti; anche il Che è in gravi condizioni perché non ha più i medicinali per l'asma. Il generale americano dei marines Porter ispeziona intanto i berretti verdi che stringono il cerchio intorno a Guevara .Il 26 settembre prima sconfitta a La Higuera, nella zona di Valle Grande; muoiono tre guerriglieri, altri tre sono feriti. Due si disperdono e vengono poi catturati. C'è ancora una via d'uscita sicura, ma non è percorribile dai feriti. La strada scelta da Guevara per la ritirata è più accessibile ma troppo esposta e il suo gruppo viene localizzato e braccato da vicino. Nell'ultima battaglia il Che si attarda per tentare di coprire l'evacuazione dei feriti, viene accerchiato e disarmato da un colpo che mette fuori uso il fucile. Catturato ferito, viene ucciso nella notte tra l'8 e il 9 ottobre 1967 per ordini venuti dalla capitale. Gli assassini distruggono il corpo e ne seppelliscono i resti in una località imprecisata, dopo averne recise le mani (inviate a Buenos Aires per un controllo supplementare della sua identità).

LA MORTE DEL CHE

Ernesto Che Guevara viene assassinato a La Higuera (Bolivia) il 9 ottobre 1967 alle 13:10 . [...] Una vecchia contadina ha scoperto accidentalmente i guerriglieri, che cercano di comprare il suo silenzio con cinquanta pesos. "Ma ci sono poche speranze che mantenga il ;silenzio", si legge nel "Diario". Il giorno dopo, presso la Quebrada del Yuro, i diciassette uomini superstiti dell'iniziale gruppo di guerriglieri che ha iniziato l'avventura boliviana con il "Che" vengono sorpresi da cinque battaglioni di ranger. Sei muoiono nello scontro, otto riescono             a fuggire, tre sono fatti prigionieri. Tra loro, ferito, c'è lo             stesso Guevara, che rivela la sua identità e viene trasportato             nel villaggio di La Higuera, distante otto chilometri. I             prigionieri vengono rinchiusi in una scuola. Il "Che" è             ripetutamente interrogato. Si rifiuta di rispondere alle domande. I             militari sono al comando di Andrés Selich e di Miguel             Ayaroa. Il 9 ottobre giunge sul luogo il cubano Felix Ismael             Rodríguez Mendigutia, che è entrato a far parte della Cia             e tenta inutilmente di far parlare il prigioniero. Felix Rodriguez             aveva già lavorato per la CIA qualche anno prima,             nel tentativo della Baia dei Porci per rovesciare il regime             castrista a Cuba. In mattinata, da La Paz giunge l'ordine di             ammazzare Guevara: a prendere la decisione hanno provveduto il             presidente boliviano Barrientos e i funzionari dei             servizi segreti americani che sono in perenne collegamento con             Washington. A sparare i colpi mortali ci pensa il militare             Mario Teran (gli assassini di Guevara moriranno tutti in             circostanze misteriose negli anni successivi). Si chiudono in             questo modo trentanove anni vissuti intensamente. Il cadavere -             trasportato fin lì con un elicottero - viene esposto             all'ospedale Signore di Malta su un tavolaccio a fotografi, tv e             giornalisti. Il "Che" ha gli occhi aperti, la divisa             sbottonata. Il suo corpo viene sepolto di nascosto in un angolo             della località di Vallegrande, a duecentoquaranta             chilometri a est di Santa Cruz (solo nel 1996 il governo boliviano             ha autorizzato le ricerche in prossimità di un             aeroporto per ritrovarne i resti). Le mani vengono tagliate e fatte             arrivare a Cuba, affinché L'Avana prenda atto             che Guevara è davvero morto. Il 15 ottobre, in un discorso             televisivo, Castro conferma a tutto il mondo la morte             del "Che". Il 18 ottobre, nella Piazza della rivoluzione, si svolge             la "veglia funebre" in memoria di quello che viene             ribattezzato "il guerrigliero eroico". Vi partecipa una folla             immensa e commossa. [...]             Farla finita col Che è per gli Stati Uniti e in special modo per la             CIA un vecchio progetto, che risale ai tempi della Baia             dei Porci. La CIA afferma regolarmente, fin da quel tentativo             d'invasione abortito, che i giorni della rivoluzione             cubana sono contati, e ha progettato un piano denominato "Cuba" (che             rientra sotto la mastodontica e famigerata            "Operazione Mangusta"), destinato ad eliminare, tra gli altri,             Fidel, Raúl e il Che. Già nel gennaio del 1962 McGeorge             Bundy, consigliere della presidenza per la sicurezza nazionale,             Alexis Johnson per il Dipartimento di Stato, Roswell             Gilpatrick per il Pentagono, John McCone per la CIA e Lyman             Lemnitzer per lo Stato Maggiore sono stati riuniti             nell'ufficio del Segretario di Stato per essere informati che il             progetto "Cuba" era considerato PRIORITARIO.             La decisione di sopprimere il Che era già stata presa da tempo,             molto prima della Bolivia... Viene deciso che il boia             deve essere il sottufficiale Mario Teran, che però anche se si era             offerto volontario, sul momento di agire non riesce             ad uccidere il Che a sangue freddo. Gli ufficiali e l'agente della             CIA Felix Rodriguez lo fanno bere, ma anche sbronzo             Teran non riesce ad uccidere il Che, perchè sparando con il suo             mitra Uzi di fabbricazione belga riesce solo a ferirlo             gravemente. Una pallottola al cuore lo finisce, colpo di grazia che             nessuno dei presenti rivendicherà, e che il rapporto             segreto del G2 cubano attribuirà a Félix Ramos. Da La Higuera il             corpo viene trasportato in elicottero (la barella col             cadavere sarà legata ad un pattino) fino a Valle Grande che             raggiungerà verso le 16:30. Poi il cadavere viene portato             in una lavanderia che servirà da obitorio. Viene lavato dalle             infermiere di guardia Susanna Osinaga e Graciela             Rodríguez, prima che i medici José Martínez Osso e Moisés Abraham             Baptista si occupino dell'autopsia. Il giorno dopo,             il 10 ottobre 1967, il corpo viene esposto nell'obitorio per le             fotografie di rito per poi tenere una conferenza precisando             che il Che è morto in battaglia per le ferite causate da             un'imboscata dell'esercito, affermazioni che verranno subito             smentite da molte voci e da molte contraddizioni tra i diversi             racconti dei vari militari.             "Verso le sette e mezzo di sera, Ernesto Guevara entrò per la             seconda volta in vita sua, questa volta sconfitto,             nel villaggio di La Higuera, un misero agglomerato di non più di             trenta case di mattoni e cinquecento abitanti, che             doveva il proprio nome al fatto che un tempo vi abbondavano i             fichi, ormai scomparsi; un villaggio isolato, a cui             si accede soltanto per una mulattiera non carreggiabile. La Higuera,             un luogo in cui, secondo la credenza contadina,              solo le pietre sono eterne. Fuori dal paese si sono raggruppati             alcuni abitanti intimoriti. Una donna anziana,             vent'anni dopo, racconterà che vide passare il Che al centro di una             processione davanti a casa sua a La Híguera, e             che poi se lo portarono via in cielo... con un elicottero, dirà alla             fine, quasi accettando la spiegazione che le hanno              dato              tante volte e che le sembra inconciliabile col fatto che se ne andò             via in cielo.             Lo stanno aspettando il maggiore dei ranger Ayoroa e il colonnello             Selich, arrivato in elicottero. I prigionieri e i morti             della guerriglia sono condotti alla scuola, un edificio di mattoni             crudi e tegole di altezza irregolare, con soli due locali              separati da un tramezzo a cui si accede direttamente dall'esterno,             pareti scrostate e porte di legno fuori squadra             abbondano nella costruzione di mattoni e calce. In uno dei locali             rinchiudono Simón con i cadaveri di Olo e René,              nell'altro il Che, a cui danno un'aspirina per alleviare il dolore             della ferita. Il Cinese, Juan Pablo Chang, ferito al              volto,              raggiungerà i detenuti. E' stato arrestato nello stesso momento o             in un secondo tempo? Le versioni sono              contraddittorie. Il capitano Gary Prado invia lo stesso messaggio             che ha ripetuto per tutto il pomeriggio, questa             volta             al telegrafo. Sono le otto e trenta di sera: "Papà ferito". Poi,             insieme al maggiore Ayoroa e al colonnello Selích,              esamina il misero contenuto dello zaino del Che: dodici rullini             fotografici, due dozzine di carte geografiche corrette             dal Che con matite colorate, una radio portatile, due libretti di             codici, due taccuini con copie dei messaggi ricevuti             e inviati, un quaderno verde di poesie e un paio di quaderni             (diari?) zeppi di appunti scritti con la fitta e frettolosa             calligrafia del Che. Alle nove Selich chiede telefonicamente             istruzioni al comando dell'VIII divisione. Dieci minuti             dopo gli rispondono: "Prigionieri di guerra devono restare vivi fino             a nuovi ordini comando superiore". Un'ora più              tardi arriva un nuovo messaggio da Vallegrande: "Tenga vivo             Fernando fino a mio arrivo domattina presto in              elicottero. Colonnello Zenteno". Intanto, a La Higuera, i tre             ufficiali superiori cercano di interrogare il Che. Non             ottengono nulla, rifiuta di parlare con loro. Prado racconta che             Selich gli disse, "Che ne direbbe di raderlo,             prima?", mentre tentava di strappargli la barba, e che il Che lo             colpisce con una manata.             Secondo il telegrafista di La Higuera, Selich va anche oltre; di             fronte al rifiuto del Che di fornirgli qualsiasi              informazione, lo minaccia di morte e gli toglie due pipe e             l'orologio. Il villaggio è in stato d'allerta, ci si aspetta da              un momento all'altro l'attacco dei guerriglieri superstiti. Intorno             alla scuola, sono state disposte una serie di             sentinelle in due cerchi concentrici e una vedetta. Alle ventidue e             dieci "Saturno" (Zenteno), dall'VIII divisione a              Vallegrande, telegrafava al comandante in capo dell'esercito a La             Paz (generale Lafuente) una proposta di chiave             per trattare lo spinoso argomento della cattura del Che: "Fernando             (il Che) 500. Vivo: 600, per telegrafo solo              questo per il momento, il resto per radio, morto: 700. Buonasera.             Ultima comunicazione conferma trovarsi nostro             potere 500, pregasi dare istruzioni concrete se 600 o 700". Il             comandante in capo rispondeva: "Deve restare 600.             Massima riservatezza, ci sono infiltrazioni".             I vertici dell'esercito boliviano si erano riuniti a La Paz per             decidere il da farsi. Il messaggio iniziale era stato              ricevuto dai generali Lafuente Soto (comandante dell'esercito) e             Vázquez Sempertegui (capo di stato maggiore             dell'esercito) e dal tenente colonnello Arana Serrudo (dei servizi             segreti militari). Jorge Gaflardo ha lasciato una             descrizione poco simpatica dei tre: Lafuente, tracagnotto, con una             faccia da orangutan, barba folta, lo chiamano              Chkampu (faccia pelosa in quechua); Vázquez, tarchiato, sorriso             cinico, responsabile dei massacri dei minatori;             Arana deforme, con un collo taurino che contrasta con il corpo molto             scuro. Si recano dal generale Alfredo Ovando,              Ministro della guerra, nel piccolo ufficio della cittadella             militare di Miraflores; questi, quando riceve i tre ufficiali,              fa chiamare il generale Juan José Torres, capo di stato maggiore             delle Forze Armate, che occupa l'ufficio di fronte             alla sala riunioni adiacente all'ufficio di Ovando. E' in questa             sala che i cinque militari si riuniscono. Non è escluso              che siano stati consultati altri pezzi grossi delle Forze Armate,             come il comandante della Forza aerea León Kolle             Cueto, che per un caso curioso è il fratello del dirigente del             Partito Comunista, Jorge Kolle.             Non ci è giunta alcuna testimonianza di ciò che si disse in quella             sala, soltanto della decisione finale. Una volta             raggiunto un accordo, i generali lo comunicano al presidente René             Barrientos, che dà il suo benestare. Alle ventitré              e trenta, il Comando delle forze armate invia al colonnello Zenteno             a Vallegrande questo messaggio telegrafico:              "Ordine presidente Fernando 700". E Che Guevara è stato condannato             a morte.             Tanto per il biografo più distaccato, quanto per quello più             partecipe, quelle diciotto ore a La Higuera sono disperanti.              Ernesto Guevara è vissuto lasciandosi dietro una scia di carte che             registrano le sue impressioni, le sue versioni, a              volte anche le sue emozioni più intime; diari, lettere, articoli,             interviste, discorsi, atti. E’ vissuto circondato di             narratori, testimoni, voci amiche che raccontano e lo raccontano.             Per la prima volta, lo storico può ricorrere solo             a testimoni ostili, molto spesso interessati a distorcere i fatti, a             creare una versione fraudolenta. Quello che oggi             sappiamo è emerso con il contagocce nel corso di ventotto anni,             frutto della caparbietà dei giornalisti, di ricordi              tardivi al fine di costruirsi alibi.             La Higuera è una terra di parole in cui c'è posto solo per gli             interrogativi. Sa che lo uccideranno? Cosa pensa             adesso di Simón Cuba, che tante volte ha rinnegato nel suo diario?             Fa un bilancio dei compagni vivi, dei prigionieri             e dei morti? Rimangono Pacho e Pombo con Inti, Dariel, Dario, il             Nato e Tamayo; Huanca e il medico De la Pedraja              sono fuggiti con i feriti. Lo avranno visto cadere nelle mani dei             soldati? Tenteranno qualcosa? Trascorre quelle ore              pensando ad Aleida e ai bambini, al piccolo Ernesto che             praticamente non ha mai visto? Ai morti? Gli altri morti              che hanno costellato la sua strada, Pamos Latour e Geonel, il             Patojo, Camdo e Masetti; San Luis, Manuel, Valdo             e Tania... e la lista è interminabile. Sono i suoi morti, sono morti             perché credevano in lui. Soffre per la ferita? Lui              non ha mai abbandonato un prigioniero privo di cure, gli hanno dato             un'aspirina per curare una ferita d'arma da             fuoco. Ripensa alla sconfitta? Ultimo anello di una catena che si             aggiunge, il gruppo di Puerto Mìldonado, di Salta,              adesso la sua, la guerriglia del Che.             Cosa lo aspetta? Cinquant'anni di carcere? Una pallottola nella             nuca? Non è questa la prima sconfitta, chissà se              sarà l'ultima. Il suo diario si trova nella casa del telegrafista,             a pochi metri da dove lo tengono prigioniero. Ci sono              state altre sconfitte, ma per la prima volta in vita sua Ernesto             Guevara è un uomo senza carta né penna. Un uomo              disarmato, perché non può raccontare quello che sta vivendo.             A La Higuera c'è stato il cambio della guardia. Il Che è sdraiato             per terra, la ferita ha smesso di sanguinare. Uno             dei soldati di sentinella nella stanza racconterà anni dopo: "Una             delle cose che vidi, e che mi sembrò un oltraggio              per il guerrigliero, fu che Carlos Pérez Gutiérrez entra, lo             afferra per i capelli e gli sputa in faccia, e il Che non si             trattiene e gli sputa a sua volta, inoltre gli dà un calcio che gli             fa fare un ruzzolone, non so dove l'abbia preso il             calcio, ma vidi Carlos Pérez Gutiérrez a terra e Eduardo Huerta con             un altro ufficiale che lo immobilizzano". Poco             dopo un infermiere dell'esercito gli lava la gamba con del             disinfettante; le cure non si spingono oltre.             Ninfa Arteaga, la moglie del telegrafista, si offre di portare da             mangiare ai prigionieri; il sottufficiale di guardia              rifiuta. Lei risponde: "Se non mi lasciate dare da mangiare a lui,             non lo do a nessuno". Sua figlia Elida porta un             piatto al guerrigliero cieco (il Cinese Chang?) in un'altra stanza.             Ultimo pasto del Che sarà un piatto di minestra             di arachidi. Il sottotenente Toti Aguilera entra nella stanza.             "Signor Guevara, è sotto la mia custodia." E il Che gli             chiede una sigaretta. Aguilera gli domanda se è medico, il Che             conferma e aggiunge che è anche dentista, che ha              cavato dei denti. Il tenente si aggira per la stanza cercando di             trovare uno spunto di conversazione. Alla fine fugge,              non c'è possibilità di comunicazione con quel personaggio chiuso             che esce dal mito, ferito; non riesce ad annullare              quella distanza che il Che ha sempre imposto anche ai suoi, per non             parlare degli estranei e, a maggior ragione,              dei nemici.             Diversi soldati entrano in seguito nella stanza. Parlano di tutto, a             frammenti, controvoglia. C'è religione a Cuba? E'             vero che lo vogliono scambiare con dei trattori? Lei ha ammazzato il             mio amico? Lo insultano. Dicono che un              sottufficiale, vedendolo rannicchiato in un angolo della stanza,             gli abbia chiesto: "Sta pensando all'immortalità             dell'asino?". Guevara, al quale gli asini sono sempre stati molto             cari, sorride e risponde: "No, tenente, sto             pensando all'immortalità della rivoluzione che tanto temono coloro             che voi servite".             Verso le undici e mezzo un paio di soldati rimangono soli con il             Che, senza sottufficiali né ufficiali. Il Che parla             con loro, chiede di dove sono. Sono entrambi originari dei distretti             minerari, uno è figlio di un minatore. Parlano.             I due soldati pensano che magari possono fuggire con lui. Uno di             essi esce dalla scuola per vedere com'è la             situazione fuori. Il villaggio è sempre in stato d'allerta. Ci sono             tre anelli di guardie, il terzo è formato da uomini              di un altro reggimento. Lo comunicano al Che             Raccontano che disse: Non vi preoccupate, sono sicuro che non             rimarrò prigioniero per molto tempo, perché molti              paesi protesteranno per me, quindi non c'è bisogno, non vi             preoccupate tanto, non credo che mi succeda nient'altro.              Uno dei due gruppi di guerrigliero superstiti è riuscito a sfuggire             all'accerchiamento dell'esercito. Inti Peredo             racconta: "In quella notte di tensione e d'angoscia ignoravamo             completamente cosa era successo e ci chiedevamo a              voce bassa se non fosse morto un altro compagno oltre ad Aniceto".             All'alba scendono di nuovo nella gola e dopo             una breve attesa si spostano verso il secondo punto d'incontro, a             qualche chilometro da La Higuera. Alarcón             aggiunge: "Ci dirigemmo verso il secondo punto d'incontro, vicino al             Río el Naranjal. Dovevamo tornare un’altra             volta in direzione di La Higuera e l'alba ci sorprese vicino al             villaggio".             E l'alba del 9 ottobre. Dall'ambasciata degli Stati Uniti a La Paz             partono cablogrammi diretti a Washington.              L'ambasciatore Henderson comunica al Dipartimento di stato che il             Che si trova "tra gli uomini catturati,             malato gravemente o ferito"; i consiglieri di Lyndon Johnson esperti             di questioni latino-americane, basandosi su             fonti della CIA, riferiscono che Barrientos afferma di avere il Che             e di voler verificare l'identità dell'uomo cheè              stato catturato mediante le impronte digitali. A La Higuera sta             sorgendo il giorno, i prigionieri sentono il rumore              di un elicottero, le sentinelle sono allertate. Un apparecchio             trasporta il colonnello Zenteno, venuto da Vallegrande              accompagnato dall'agente della CIA Félix Rodríguez. I due si             dirigono verso la casa del telegrafista, in cui si trovano              i documenti rinvenuti nello zaino del Che.             Agli ordini del maggiore Ayoroa, i ranger rastrellano i canaloni             alla ricerca dei superstiti. Il capitano Gary Prado              fornisce la versione ufficiale: "Un'operazione ha inizio la mattina             del 9 ottobre, perlustrando palmo a palmo i             canaloni. La compagnia A trova le grotte in cui si erano rifugiati             il Cinese e Pacho che mentre gli intimavano di             arrendersi sparano e uccidono un soldato, provocando la rapida             reazione dei ranger, che con mitragliatrici e              bombe a mano li riducono al silenzio". E curioso che in un altro             punto della sua versione dica che i soldati gli             riferirono della "presenza di un guerrigliero", non di due. Perché             se c'erano due uomini nella gola i superstiti non              li videro la notte prima? Perché non c'è nessuna annotazione sul             diario di Pacho in data 8 ottobre? A La Higuera,              il colonnello e l'agente della CIA entrano dove è rinchiuso il Che.             Anni dopo, un soldato racconterà: "Uno dei             comandanti ebbe una discussione piuttosto violenta con il Che e             aveva accanto una persona, sarà stato un             giornalista, che registrava con una specie di registratore molto             grande appeso sul petto".             Nella versione di Rodríguez, le cose si svolgono in modo più civile.             Fanno uscire il Che dalla scuola e gli chiedono             il permesso di fargli una foto. Félix si mette accanto al             guerrigliero. Verso le dieci del mattino il maggiore Nino de              Guzmán, pilota dell'elicottero, fa scattare laPentax dell'agente             della CIA. La foto è giunta fino a noi: il Che è un             arruffio di capelli, sul volto una certa amara desolazione, la barba             sporca, gli occhi semichiusi per la stanchezza             e il sonno, le mani unite come se fossero legate. Ci saranno un             altro paio di fotografie quella mattina, scattate da             soldati, molto simili alla prima: in entrambe, il comandante             Guevara, sconfitto, rifiuta di guardare l'obiettivo,             Zenteno si dirige verso il Churo per supervisionare il             rastrellamento in corso. Intanto Rodríguez, con la sua Rs48              portatile, invia un messaggio cifrato. Selich, che lo osserva,è             molto preciso: "Aveva un potente radiotrasmettitore             che installò immediatamente e con cui trasmise un messaggio cifrat             in chiave di sessantacinque gruppi circa.              Subito dopo installò su un tavolo al sole una macchina fotografica             montata su un dispositivo con quattro gambe              telescopiche e cominciò a scattare fotografìe".             Gli interessano in particolare i diari del Che, il libro con le             chiavi e l'agenda con indirizzi di tutto il mondo. I militari              e l'agente della CIA si trovano nel patio davanti alla casa del             telegrafista. Fotografando il libro di chiavi, Rodríguez             commenta: "Ne esistono solo due esemplari al mondo, uno ce l'ha             Fidel Castro e l'altro è qui". Selich ritorna a              Vallegrande in elicottero con i due soldati feriti. Alle undici e             trenta Zenteno ritorna a La Higuera accompagnato              da una scorta e dal maggiore Ayoroa e trova l'agente della CIA             impegnato nell'operazione di fotografia. I militari              lo guardano fare. Zenteno si limita a un breve commento e Rodríguez             gli assicura che copie delle foto gli saranno              consegnate a La Paz. "Nessuno obiettò alle fotografie, nessuno si             oppose" dirà più tardi il maggiore Ayoroa.             Nella solitudine della stanza in cui è rinchiuso, il Che chiede ai             suoi guardiani di lasciarlo parlare con la maestra              della scuola, Julía Cortez; secondo la sua testimonianza, il Che le             disse: "Ah, lei è la maestra. Lo sa che sulla o             di "so" non ci vuole l'accento nella frase "Adesso so leggere"?             Indica la lavagna. "Certo, a Cuba non ci sono scuole              come questa. Per noi questa sarebbe una prigione. Come fanno a             studiare qui i figli dei contadini? E’ antipedagogico             ". "Il nostro è un paese povero." "I funzionari del governo e i             generali, però, girano in Mercedes e hanno un mucchio             di altre cose... vero? E’ questo quello che noi combattiamo." "Lei             è venuto da molto lontano a combattere in Bolivia.            " "Sono un rivoluzionario e sono stato in molti posti." "Lei è             venuto a uccidere i nostri soldati." "Guardi, in guerra o             si vince o si perde."             In quale momento il colonnello Zenteno trasmise ad Ayoroa l'ordine             presidenziale di assassinare il Che? Felìx             Rodríguez cercò forse di convincerlo a non ucciderlo, visto che il             Che in quel momento poteva essere più utile vivo             e sconfitto che morto? Almeno così afferma l'agente della CIA nelle             sue memorie; Zenteno, nelle successive             dichiarazioni, non ne fa menzione. Rodríguez racconta che parlò con             il Che per un'ora e mezza, e che il comandante             gli chiese anche di trasmettere a Fidel il messaggio che la             rivoluzione latino-americana avrebbe trionfato e di dire             a sua moglie di risposarsi ed essere felice. Ma quell'ora e mezza             non fu in realtà che un quarto d'ora, e altre fonti             militari sono concordi nell'affermare che il Che disse a Rodríguez             che era un verme al servizio della CIA, che lo             chiamò mercenario e che si limitarono a scambiarsi insulti. Alle             undici e quarantacinque, Zenteno prende il diario             e la carabina del Che e insieme a Rodríguez parte con l'elicottero             appena ritornato.             A mezzogiorno il Che chiede di poter parlare di nuovo con la             maestra. Lei non vuole, ha paura. Intanto, a             cinque-seicento metri dal villaggio, i guerriglieri sopravvissuti             stanno aspettando che faccia notte per muoversi.             Alarcón racconta: "Lì venimmo a sapere che il Che era prigioniero             (......) Sentivamo le notizie da una radiolina             che avevamo e che disponeva di un auricolare (.......) Credevamo             che si trattasse di una falsa informazione             messa in giro dall'esercito. Però verso le dieci del mattino             dicevano già che il Che era morto e (.......) parlavano             di una foto che lui portava in tasca, con sua moglie e i suoi             figli. Quando noi cubani sentimmo questo, ci             guardammo fissi mentre le lacrime cominciavano a scenderci in             silenzio (........) Quel particolare ci dimostrava             che il Che era morto in combattimento, senza che ci passasse per la             mente che era ancora vivo e a poco più             di cinquecento metri da noi". A metà mattina Ayoroa chiese un             volontario tra i ranger per fare il boia. Il sottufficiale             Mario Terán chiese che gli lasciassero ammazzare il Che. Un soldato             ricorda: "Sosteneva che nella compagnia B             erano morti tre Mario e in loro onore dovevano dargli il diritto di             ammazzare il Che". Era mezzo ubriaco. Il             sergente Bernardino Huanca si offrì di assassinare i compagni del             Che.             Passata l'una, Terán, basso, tracagnotto - non sarà stato alto più             di 1,60 per sessantacinque chili di peso - entrò             nella stanzetta della scuola in cui si trovava il Che con un M-2 in             mano che gli aveva prestato il sottufficiale Pérez.             Nella stanza accanto, Huanca crivellava di pallottole il Cinese e             Simón. Il Che era seduto su una panca, con i polsi             legati, le spalle al muro. Terán esita, dice qualcosa. Il Che             risponde:"Perché disturbarsi? Sei venuto a uccidermi".             Terán fa un movimento come per andarsene e spara la prima raffica             rispondendo alla frase che quasi trent'anni             dopo dicono abbia pronunciato il Che: Spara, vigliacco, che stai             per uccidere un uomo.             "Quando arrivai il Che era seduto sulla panca. Quando mi vide disse:             Lei è venuto a uccidermi. Io non osavo             sparare, e allora lui mi disse: Stia tranquillo, lei sta per             uccidere un uomo. Allora feci un passo indietro, verso             la porta, chiusi gli occhi e sparai la prima raffica. Il Che cadde a             terra con le gambe maciullate, contorcendosi e             perdendo moltissimo sangue. io ripresi coraggio e sparai la seconda             raffica, che lo colpì a un braccio, a una             spalla e al cuore".             Poco dopo il sottufficiale Carlos Pérez entra nella stanza e spara             un colpo sul cadavere. Non sarà l'unico:             anche i            l soldato Cabrero, per vendicare la morte del suo amico Manuel             Morales, spara contro il Che. I diversi             testimoni             sembrano concordare sull'ora della morte di Ernesto Che Guevara:             verso la una e dieci del pomeriggio di             domenica 9 ottobre 1967. La maestra grida contro gli assassini. Un             sacerdote domenicano di una vicina             parrocchia ha cercato di arrivare in tempo per parlare con Ernesto             Guevara. Padre Roger Schiller racconta:             "Quando seppi che il Che era prigioniero a La Higuera trovai un             cavallo e mi diressi laggiù. Volevo             confessarlo. Sapevo che aveva detto sono fritto. lo volevo dirgli:             "Lei non è fritto. Dio continua a credere in             lei". Per strada incontrai un contadino: "Non si affretti, padre"             mi disse. "L’hanno già liquidato"". Verso le             quattro del pomeriggio il capitano Gary Prado ritorna al villaggio             dopo l'ultima incursione dei ranger nelle             gole vicine. All'ingresso del paese il maggiore Ayoroa lo informa             che hanno giustiziato il Che; Prado ha un             moto di sdegno. Lui l'ha catturato vivo. Si preparano a portare via             il corpo in elicottero. Prado gli lega la             mandibola con un fazzoletto perché il volto non si scomponga.             Un fotografo ambulante ritrae i soldati che circondano il cadavere             adagiato su una barella. Sono foto             domenicali,             di paese, mancano solo i sorrisi. Una foto immortala Prado, padre             Schiller e donna Ninfa accanto al corpo.             Il             sacerdote entra nella scuola, non sa cosa fare, raccoglie i bossoli             e li mette via, poi si mette a lavare le macchie             di sangue. Vuole cancellare parte del terribile peccato: aver             ucciso un uomo in una scuola. A Mario Terán             hanno promesso un orologio e un viaggio a West Point per             frequentare un corso per sottufficiali.             La promessa non sarà mantenuta. L'elicottero si alza in volo, con             il cadavere del Che Guevara legato ai pattini.             Tratto dal libro "Senza perdere la tenerezza" di Paco Ignacio Taibo             II, Casa Editrice Il Saggiatore, 1997.             Ecco, dopo moltissimi anni dalla morte del Che, uno dei primi             documenti segreti riaffiorati dagli incartamenti              della              CIA. Il rapporto di autopsia di Ernesto Guevara de la Serna.             Rapporto di autopsia (medici: José Martínez Osso e Moisés Abraham             Baptista)             Età: circa 40 anni             Razza: bianca             Altezza: 1,73 m circa             Capelli: castani, ricci, barba e baffi ricci, sopracciglia folte             Naso: diritto             Labbra: sottili, bocca socchiusa con tracce di nicotina. Manca il             premolare inferiore sinistro             Occhi: tendenti all'azzurro             Costituzione: normale             Estremità: piedi e mani in buono stato, con una cicatrice che copre             quasi tutto il dorso della mano sinistra            Con le seguenti lesioni:             1) Ferita di pallottola nella regione della clavicola sinistra, con             uscita nella regione scapolare dello stesso lato.             2) Ferita di pallottola nella regione della clavicola destra, con             frattura di questa, senza uscita.             3) Ferita di pallottola nella regione costale destra, senza uscita.             4) Due ferite di pallottola nella regione costale laterale sinistra,             con uscite nella regione dorsale.             5) Ferita di pallottola nella regione pettorale sinistra tra la 9a e             la 10a costola, con uscita nella regione laterale              dorsale sinistra.             6) Ferita di pallottola a un terzo della gamba destra.             7) Ferita di pallottola a un terzo del muscolo quadricipite femorale             sinistro.             8) Ferita di pallottola al terzo inferiore dell'avambraccio destro,             con frattura dell'ulna.             La morte è stata causata dalle ferite al torace e dall'emorragia             seguita. Allegato: La commissione dei tecnici              incaricati dal governo argentino, su richiesta del governo             boliviano, per confermare l'identificazione dei resti di              Ernesto Guevara de la Serna, attesta che si tratta veramente di lui             (in effetti una macabra scena permette, il              giorno 15, ai poliziotti argentini di verificare che le impronte             digitali che essi possiedono del Che - tramite la sua              carta d'identità n. 3.524.272 - sono identiche a quelle della mano             conservata nel barattolo di formaldeide). o             in chiave di sessantacinque gruppi circa.             Subito dopo installò su un tavolo al sole una macchina fotografica             montata su un dispositivo con quattro gambe             telescopiche e cominciò a scattare fotografìe".             Gli interessano in particolare i diari del Che, il libro con le             chiavi e l'agenda con indirizzi di tutto il mondo. I militari             e l'agente della CIA si trovano nel patio davanti alla casa del             telegrafista. Fotografando il libro di chiavi, Rodríguez             commenta: "Ne esistono solo due esemplari al mondo, uno ce l'ha             Fidel Castro e l'altro è qui". Selich ritorna a             Vallegrande in elicottero con i due soldati feriti. Alle undici e             trenta Zenteno ritorna a La Higuera accompagnato             da una scorta e dal maggiore Ayoroa e trova l'agente della CIA             impegnato nell'operazione di fotografia. I militari             lo guardano fare. Zenteno si limita a un breve commento e Rodríguez             gli assicura che copie delle foto gli saranno             consegnate a La Paz. "Nessuno obiettò alle fotografie, nessuno si             oppose" dirà più tardi il maggiore Ayoroa.             Nella solitudine della stanza in cui è rinchiuso, il Che chiede ai             suoi guardiani di lasciarlo parlare con la maestra             della scuola, Julía Cortez; secondo la sua testimonianza, il Che le             disse: "Ah, lei è la maestra. Lo sa che sulla o             di "so" non ci vuole l'accento nella frase "Adesso so leggere"?             Indica la lavagna. "Certo, a Cuba non ci sono scuole             come questa. Per noi questa sarebbe una prigione. Come fanno a             studiare qui i figli dei contadini? E’ antipedagogico            ". "Il nostro è un paese povero." "I funzionari del governo e i             generali, però, girano in Mercedes e hanno un mucchio             di altre cose... vero? E’ questo quello che noi combattiamo." "Lei             è venuto da molto lontano a combattere in Bolivia.            " "Sono un rivoluzionario e sono stato in molti posti." "Lei è             venuto a uccidere i nostri soldati." "Guardi, in guerra o             si vince o si perde."             In quale momento il colonnello Zenteno trasmise ad Ayoroa l'ordine             presidenziale di assassinare il Che? Felìx             Rodríguez cercò forse di convincerlo a non ucciderlo, visto che il             Che in quel momento poteva essere più utile vivo             e sconfitto che morto? Almeno così afferma l'agente della CIA nelle             sue memorie; Zenteno, nelle successive             dichiarazioni, non ne fa menzione. Rodríguez racconta che parlò con             il Che per un'ora e mezza, e che il comandante             gli chiese anche di trasmettere a Fidel il messaggio che la             rivoluzione latino-americana avrebbe trionfato e di dire             a sua moglie di risposarsi ed essere felice. Ma quell'ora e mezza             non fu in realtà che un quarto d'ora, e altre fonti             militari sono concordi nell'affermare che il Che disse a Rodríguez             che era un verme al servizio della CIA, che lo             chiamò mercenario e che si limitarono a scambiarsi insulti. Alle             undici e quarantacinque, Zenteno prende il diario             e la carabina del Che e insieme a Rodríguez parte con l'elicottero             appena ritornato.             A mezzogiorno il Che chiede di poter parlare di nuovo con la             maestra. Lei non vuole, ha paura. Intanto, a             cinque-seicento metri dal villaggio, i guerriglieri sopravvissuti             stanno aspettando che faccia notte per muoversi.             Alarcón racconta: "Lì venimmo a sapere che il Che era prigioniero             (......) Sentivamo le notizie da una radiolina             che avevamo e che disponeva di un auricolare (.......) Credevamo             che si trattasse di una falsa informazione             messa in giro dall'esercito. Però verso le dieci del mattino             dicevano già che il Che era morto e (.......) parlavano             di una foto che lui portava in tasca, con sua moglie e i suoi             figli. Quando noi cubani sentimmo questo, ci             guardammo fissi mentre le lacrime cominciavano a scenderci in             silenzio (........) Quel particolare ci dimostrava             che il Che era morto in combattimento, senza che ci passasse per la             mente che era ancora vivo e a poco più             di cinquecento metri da noi". A metà mattina Ayoroa chiese un             volontario tra i ranger per fare il boia. Il sottufficiale             Mario Terán chiese che gli lasciassero ammazzare il Che. Un soldato             ricorda: "Sosteneva che nella compagnia B             erano morti tre Mario e in loro onore dovevano dargli il diritto di             ammazzare il Che". Era mezzo ubriaco. Il             sergente Bernardino Huanca si offrì di assassinare i compagni del             Che.             Passata l'una, Terán, basso, tracagnotto - non sarà stato alto più             di 1,60 per sessantacinque chili di peso - entrò             nella stanzetta della scuola in cui si trovava il Che con un M-2 in             mano che gli aveva prestato il sottufficiale Pérez.             Nella stanza accanto, Huanca crivellava di pallottole il Cinese e             Simón. Il Che era seduto su una panca, con i polsi             legati, le spalle al muro. Terán esita, dice qualcosa. Il Che risponde:"Perché disturbarsi? Sei venuto a uccidermi".             Terán fa un movimento come per andarsene e spara la prima raffica             rispondendo alla frase che quasi trent'anni             dopo dicono abbia pronunciato il Che: Spara, vigliacco, che stai             per uccidere un uomo.             "Quando arrivai il Che era seduto sulla panca. Quando mi vide disse:             Lei è venuto a uccidermi. Io non osavo             sparare, e allora lui mi disse: Stia tranquillo, lei sta per             uccidere un uomo. Allora feci un passo indietro, verso             la porta, chiusi gli occhi e sparai la prima raffica. Il Che cadde a             terra con le gambe maciullate, contorcendosi e             perdendo moltissimo sangue. io ripresi coraggio e sparai la seconda             raffica, che lo colpì a un braccio, a una             spalla e al cuore".             Poco dopo il sottufficiale Carlos Pérez entra nella stanza e spara             un colpo sul cadavere. Non sarà l'unico:             anche i            l soldato Cabrero, per vendicare la morte del suo amico Manuel             Morales, spara contro il Che. I diversi             testimoni             sembrano concordare sull'ora della morte di Ernesto Che Guevara:             verso la una e dieci del pomeriggio di             domenica 9 ottobre 1967. La maestra grida contro gli assassini. Un             sacerdote domenicano di una vicina             parrocchia ha cercato di arrivare in tempo per parlare con Ernesto             Guevara. Padre Roger Schiller racconta:             "Quando seppi che il Che era prigioniero a La Higuera trovai un             cavallo e mi diressi laggiù. Volevo             confessarlo. Sapevo che aveva detto sono fritto. lo volevo dirgli:             "Lei non è fritto. Dio continua a credere in             lei". Per strada incontrai un contadino: "Non si affretti, padre"             mi disse. "L’hanno già liquidato"". Verso le             quattro del pomeriggio il capitano Gary Prado ritorna al villaggio             dopo l'ultima incursione dei ranger nelle             gole vicine. All'ingresso del paese il maggiore Ayoroa lo informa             che hanno giustiziato il Che; Prado ha un             moto di sdegno. Lui l'ha catturato vivo. Si preparano a portare via             il corpo in elicottero. Prado gli lega la             mandibola con un fazzoletto perché il volto non si scomponga.             Un fotografo ambulante ritrae i soldati che circondano il cadavere             adagiato su una barella. Sono foto             domenicali,             di paese, mancano solo i sorrisi. Una foto immortala Prado, padre             Schiller e donna Ninfa accanto al corpo.             Il             sacerdote entra nella scuola, non sa cosa fare, raccoglie i bossoli             e li mette via, poi si mette a lavare le macchie             di sangue. Vuole cancellare parte del terribile peccato: aver             ucciso un uomo in una scuola. A Mario Terán             hanno promesso un orologio e un viaggio a West Point per             frequentare un corso per sottufficiali.             La promessa non sarà mantenuta. L'elicottero si alza in volo, con             il cadavere del Che Guevara legato ai pattini.             Tratto dal libro "Senza perdere la tenerezza" di Paco Ignacio Taibo             II, Casa Editrice Il Saggiatore, 1997.             Ecco, dopo moltissimi anni dalla morte del Che, uno dei primi             documenti segreti riaffiorati dagli incartamenti              della              CIA. Il rapporto di autopsia di Ernesto Guevara de la Serna.             Rapporto di autopsia (medici: José Martínez Osso e Moisés Abraham             Baptista)             Età: circa 40 anni             Razza: bianca             Altezza: 1,73 m circa             Capelli: castani, ricci, barba e baffi ricci, sopracciglia folte             Naso: diritto             Labbra: sottili, bocca socchiusa con tracce di nicotina. Manca il             premolare inferiore sinistro             Occhi: tendenti all'azzurro ;Costituzione: normale Estremità: piedi e mani in buono stato, con una cicatrice che copre quasi tutto il dorso della mano sinistra Con le seguenti lesioni: 1) Ferita di pallottola nella regione della clavicola sinistra, con uscita nella regione scapolare dello stesso lato.2) Ferita di pallottola nella regione della clavicola destra, con frattura di questa, senza uscita. 3) Ferita di pallottola nella regione costale destra, senza uscita. 4) Due ferite di pallottola nella regione costale laterale sinistra, con uscite nella regione dorsale. 5) Ferita di pallottola nella regione pettorale sinistra tra la 9a e la 10a costola, con uscita nella regione laterale dorsale sinistra. 6) Ferita di pallottola a un terzo della gamba destra. 7) Ferita di pallottola a un terzo del muscolo quadricipite femorale ;sinistro.             8) Ferita di pallottola al terzo inferiore dell'avambraccio destro, con frattura dell'ulna. La morte è stata causata dalle ferite al torace e dall'emorragia seguita. Allegato: La commissione dei tecniciincaricati dal governo argentino, su richiesta del governo boliviano, per confermare l'identificazione dei resti di Ernesto Guevara de la Serna, attesta che si tratta veramente di lui (in effetti una macabra scena permette, il giorno 15, ai poliziotti argentini di verificare che le impronte digitali che essi possiedono del Che - tramite la sua carta d'identità n. 3.524.272 - sono identiche a quelle della mano conservata nel barattolo di formaldeide).

Riposa in Pace Comandante..... HASTA LA VICTORIA SIEMPRE

La bara del Che

 

Tomba del Che e altri soldati caduti in guerra in Bolivia

Resti del Comandante Che Guevara

 

Che Guevara e il suo amore

Che Guevara e i sui amici

Che Guavara gioca a baseball

Che guevara in battaglia

Che Guevara e Fidel Castro organizzano il piano di battaglia     Che Guevara e Fidel Castro ridono tranquilli     Che guevara e Fidel Castro in Bolivia     

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