Nessuno dei protagonisti della Storia della patria aveva un'idea così alta e così completa di cosa dovesse essere l'Italia come Giuseppe Mazzini. Non il Cavour che, pur essendo stato definito da Spadolini "l'unico uomo di Stato, per uno Stato che ancora non c'era" , si opponeva tenacemente all'idea unitaria intendendola, dopo i fatti del 1860/61, come il semplice ampliamento del Vecchio Regno di Sardegna e come l'avverarsi di ciò che pochi secoli prima aveva detto Emanuele Filiberto di Savoia ("L'Italia? Un carciofo di cui i Savoia mangeranno una foglia alla volta" ); non il Cattaneo che, chiamando il proprio giornale pubblicato nel 1848 "Il Cisalpino" e non "L'Italiano", restringeva l'orizzonte del proprio progetto politico federalista al solo Nord sviluppato; non il Gioberti che, ne "Il Primato", si faceva promotore di un anacronistico legame tra Stato e Chiesa che sembrava potersi avverare soltanto se analizzato alla luce delle riforme concesse da Papa Pio IX nello Stato della Chiesa nel 1848 dopo l'elezione al soglio pontificio.
Ma tutte queste speranze si riveleranno, dopo la svolta autoritaria del Pontefice nel 1848, pure illusioni. Tantomeno erano innovative le posizioni di quei liberali di scuola classica guidati in Piemonte dal D'Azeglio ed in Toscano dal Ricasoli che sognavano semplicemente di modificare in senso costituzionale il rapporto Corona-Parlamento senza stravolgere le condizioni sociali ed economiche esistenti.

Giuseppe Mazzini affronta il problema italiano...

Interessante, per capirne il pensiero politico, è la biografia politica del pensatore ligure. Nasce a Genova nel 1805 da un'agiata famiglia piccolo-borghese e compie i primi passi nella lotta politica guidando, col Ruffini , i primi moti rivoluzionari nel Nord-Ovest dalle colonne dell'"Indicatore". Falliti questi tentativi insurrezionali si assiste alla fondazione di una nuova società segreta "La Giovine Italia". All'origine di essa vi è una critica incisiva della Carboneria a cui si imputa di essere troppo elitaria e totalmente disorganizzata al proprio interno degenerando, quindi, in organizzazione di stampo verticistico in cui i singoli adepti non sono a conoscenza dell'intero programma politico per la cui realizzazione lottano. La "Giovine Italia" propone un nuovo modello di lotta politica che, innanzi tutto, vuole coinvolgere le masse per giungere ad un moto insurrezionale popolare e nazionale. Vi è, inoltre, un forte interesse per i giovani che sono visti come elementi nuovi da invitare alla lotta politica.

Si è di fronte ad un'organizzazione non più di stampo liberale (quindi oligarchico), ma democratica il cui messaggio politico è indirizzato a tutte le classi sociali, anche le meno abbienti, affinché siano esse, e non le oligarchie monarchiche, le vere protagoniste del processo di unificazione tendente a fare dell'Italia uno Stato unito, indipendente e repubblicano che si possa inserire in una più vasta nuova Europa unitaria basata su valori democratici e di reciproco rispetto. È infatti, sempre negli anni '30, che il Mazzini fonda "La Giovine Europa" che ha lo scopo di promuovere un processo di integrazione europea.

Benché definisse il Mediterraneo Mare Nostrum non si può considerare Mazzini nazionalista. Infatti il pensatore politico ligure sosteneva la pari dignità tra tutti i popoli europei e riteneva che la massima conquista civile della società fosse stata l'abolizione della schiavitù.

Mazzini si faceva sostenitore di una graduale emancipazione delle colonie britanniche. Tanto W. T. Wilson e George Lloyd George , quanto molti leaders post-coloniali, tra i quali Gandhi , Golda Meir , David Ben Gurion , Nehru e Sun Yat-sen , consideravano Mazzini il proprio Maestro e "I doveri dell'uomo" la propria Bibbia morale, etica e politica. Mazzini, teorizzando l'integrazione fra le nazioni europee in un'ottica democratica e riformista giunge con quasi un secolo d'anticipo ad affermare ciò che grandi europeisti, quali Altiero Spinelli , Ugo La Malfa , Umberto Terracini e Giorgio Amendola , sosterranno nel "Manifesto di Ventotene" alla fine del II conflitto mondiale che aveva sconvolto le coscienze di milioni di europei che negli anni '50 si interrogheranno se la nuova Europa dovesse divenire finalmente quel luogo politico e culturale in cui svelenire gli odi nazionalisti nell'ottica dell'interesse comune di pace e di prosperità oppure se dovesse essere il baluardo avanzato della guerra fredda.

Mazzini subordinava il concetto di Patria a quello più ampio di Umanità, auspicando che il concetto di nazione sarebbe stato superato a favore di una federazione fra i popoli europei che, da un lato, avrebbe permesso la rimozione delle tensioni internazionali sanando le ferite nazionaliste e, dall'altro, avrebbe permesso lo sviluppo anche dei popoli più poveri. La nazioni sarebbero dovute giungere a questo nuovo assetto geopolitico spinte dalla comprensione della "legge morale" a cui tutte sono soggette. Il pensatore democratico intravedeva già negli anni '30 come la vecchia idea d'Europa, nata a Vienna nel 1914, non potesse reggere al progredire impetuoso della Storia. In tale considerazione vi è una consonanza con il filosofo tedesco Hegel che, nel 1831, affermava che in breve tempo l'Europa avrebbe ceduto il primato agli Stati Uniti. Contrariamente ad Hegel, che intendeva le nazioni in una naturale e reciproca competizione, Mazzini le considerava necessariamente cooperanti in nome dell'Umanità di cui ogni singola nazione è parzialmente manifestazione.

Contrariamente a Machiavelli , Mazzini si interessa alle nazioni in quanto popoli e non stima i "principi" che le guidano poiché, come ha detto Fançois Mitterand , "Sono le nazioni, qualora ne siano in grado a fare grandi i propri governanti". Alla luce di quanto detto è assolutamente errato il tentativo di Giovanni Gentile di parlare di un "Mazzini fascista". Quindi l'idea dell'Italia fascista è figlia di Mussolini e non trova legittimazione nell'ideologia politica democratica mazziniana. Inoltre non si può giustificare, ricorrendo al pensiero politico mazziniano, né l'esperienza coloniale patrocinata dal Crispi , né l'occupazione della Libia attuata nel 1912 dal IV gabinetto Giolitti . Questi atti coloniali trovano un riferimento culturale in Alfredo Oriani che teorizzava che le disfatte di Custoza, di Lissa e di Adua avevano creato al Regno d'Italia un complesso di inferiorità che poteva essere sanato soltanto se l'Italia fosse vissuta al di sopra delle proprie possibilità giungendo ad una "grandezza della Patria" in grado di risolvere le contraddizioni fra le quali il nuovo stato era nato e cresciuto. Ma questo è il pensiero del romagnolo Alfredo Oriani, l'autore de "La lotta politica in Italia", definito da Antonio Gramsci "il rappresentante più onesto e più appassionato per la grandezza nazional-popolare fra gli intellettuali italiani della vecchia generazione" , non il ligure Giuseppe Mazzini, ritenuto da Francesco de Sanctis "il Mosè dell'Unità ".

I moti ispirati da "La Giovine Italia" danno tutti risultati negativi e ciò causa una forte crisi morale al Mazzini che, durante gli anni '30, vive la "tempesta del dubbio". In questi anni cerca una pace interiore dedicandosi a studi filosofici soprattutto in campo musicale.